tamberi jacobs
L’Equipe ha intervistato Gianmarco “Gimbo” Tamberi, oro ai Mondiali di Budapest. A breve ci saranno le Olimpiadi e Gimbo vuole alzare un po’ più in alto l’asticella.
Tamberi: «Saltare l’asta non è stato un gran divertimento per me»
Da dove viene il tuo soprannome, “Gimbo”?
«Dai miei genitori. Quando ero piccolo non riuscivo a stare fermo, facevo un sacco di cose stupide e mi hanno dato questo soprannome in riferimento a Jimmy Connors un tennista americano che, diciamo, era molto nervoso».
Quando è entrata l’atletica nella tua vita?
«Anche mio padre era un saltatore in alto, ha partecipato alle Olimpiadi di Mosca (nel 1980). Ma prima di tutto sono appassionato di basket, filo conduttore della mia vita. Solo alla fine delle scuole medie ho partecipato alle mie prime gare di atletica leggera, senza alcuna base tecnica. Poi, da più piccolo della classe sono diventato in brevissimo tempo il più alto. Ho vinto i campionati di liceo, a livello comunale, regionale e nazionale. Tutto questo in cinque mesi. A quel punto ho capito, ma non volevo rinunciare al basket».
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Perché?
«Saltare non è stato un gran divertimento per me, mi piace lo spogliatoio e l’idea di squadra. Ho giocato tredici anni a basket. Il canestro era il mio migliore amico. Il basket è ciò che mi ha reso felice. Ho scelto il salto in alto per chi mi circonda e non so se rifarei quella scelta nonostante tutto quello che ho guadagnato. Questa scelta, però, mi ha aiutato a performare velocemente, perché non potevo fallire dopo aver sacrificato la cosa a cui tenevo di più. Iniziare il salto in alto tardi mi ha anche permesso di avere una progressione pazzesca. Nei primi tre anni non sono mai sceso più in basso dell’asticella precedente e mi sono qualificato per le Olimpiadi del 2012».
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L’approccio mentale di Tamberi:
«So di avere avversari più forti di me e, credetemi, è un’enorme opportunità sentirsi più deboli, perché, tutto l’anno, do il massimo, pensando che non potrò razionalmente battere un Barshim o un Harrison. Ma nel grande giorno mi sento all’altezza perché sono certo di aver lavorato più di tutti gli altri, anche se forse non è vero. Per 364 giorni mi sento il più debole. Nel grande giorno mi sento più forte perché so che i miei avversari hanno fatto abbastanza, ma necessariamente meno di me perché sono dannatamente maniacale. Ho scelto questo sport per vincere, non perché mi piaccia. E sono pronto a fare qualsiasi cosa… nel rispetto delle regole, ovviamente!»
Sei l’opposto dell’immagine molto rigida che abbiamo del saltatore in alto.
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«Alcuni decenni fa, il risultato era sufficiente per attirare lo spettatore. Oggi abbiamo bisogno di spettacolo. Nell’Nba ci sono le cheerleaders, il cantante più famoso dello stato, e poi la partita. Nell’atletica, ci sono tentativi di cambiamento, come la chiamata dei finalisti dei 100 metri con le luci dello stadio che si spengono. L’atletica allo stadio è bella per gli esperti, ma chi non ne sa nulla non capisce nulla di quello che succede in pista e si sente perso.
Mi sono ripromesso di vivere il salto in alto come ho vissuto il basket, di non essere una macchina senza emozioni. Il mio sogno da bambino era entrare in una palestra con i tifosi del basket che cantavano il mio nome. Quando ho cominciato con l’atletica ho scoperto un mondo completamente diverso, freddo. Voglio essere un atleta che provoca e crea emozioni. Più passa il tempo e più mi rendo conto che è un’arma a mio favore. Il pubblico lo apprezza, vede una persona vera, non una macchina. In ogni stadio in cui vado sono incoraggiato, mentre di solito nell’atletica il pubblico è neutrale. Avere 50mila persone che ti aiutano a superare un’asticella è un vantaggio».
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Tamberi spesso ha stupito con le sue trovate stilistiche. Che sia la barba rasata a metà o i capelli tinti:
«Tutto ha uno scopo molto specifico. C’è stato un periodo, nel febbraio 2013, in cui non saltavo più in alto di 2,20. Decisi di tingermi i capelli di verde per obbligarmi a vincere, altrimenti sarei sembrato uno sfigato che vuole fare lo showman. Ha funzionato, mi ha stimolato. Se sbaglio in pista, con stile normale, nessuno se ne accorgerà. È un modo per non avere altra via d’uscita che esibirsi. Se ti mettono un leone dietro e ti diciamo di correre, batterai il tuo record dei 100 metri, giusto? È un po’ lo stesso principio. Adesso c’è anche un po’ di superstizione ed è diventato un rito, un po’ come gli indiani che si dipingevano strisce sul volto. Sono come un guerriero».
gianmarco tamberi vince l oro al mondiale 2023
Il record mondiale di Sotomayor di 2,45 metri è troppo?
«Probabilmente, e questo non mi motiva. Ciò che mi motiva è vincere. Battere il record olimpico probabilmente significa vincere l’oro, e adoro la sensazione di sapere che nessuno ha saltato più in alto di me alle Olimpiadi».
Ormai Tamberi gareggia senza suo padre, non è più il tuo allenatore da due anni:
«Non abbiamo mai avuto un buon rapporto. A 20 anni, mi ha messo pressione, con l’obbligo di seguire le regole. L’ho vissuto come un tradimento enorme. Oggi capisco perché lo fece, ma era molto severo, non capiva che aveva davanti un ventenne. Mi ha messo un muro davanti. Nel 2015 è diventato molto pesante. Non voleva che me ne andassi. Cinque mesi dopo ho battuto il primo record italiano, quindi è stato un bene che me ne sia andato. L’oro di Tokyo è stata una sorta di vittoria individuale per tutti. Lui voleva fermarsi subito, io volevo riprovare, ma aveva ragione. Non ci parliamo da più di un anno».
gianmarco tamberi con la moglie chiara bontempi 1 gianmarco tamberi alle finali del world athletics championships in oregon gianmarco tamberi con la moglie chiara bontempi