filippo facci selfie
Filippo Facci per “Libero quotidiano”
Qualcuno non ha ancora capito che rischia di passare alla storia (minore) come un servo, come un cronistello che abdicò al proprio dovere per servire dei padroni nuovi anziché quelli vecchi, anzi peggio: perché oltre a sdraiarsi a pelle di leopardo sulle toghe furono anche funzionali all'inchiesta che seguirono, ne furono uno strumento eterodiretto che diffondeva carte (alcune, non altre) e serviva a fare da effetto richiamo.
indro montanelli
Forse i cronistelli pensano che gli storici leggeranno le loro cronache, ma ha già risposto Indro Montanelli: «Quando gli studiosi dovranno ricostruire questa pagina della nostra storia, avranno un serio problema. Non potranno attingere a piene mani dalle fonti dei giornali e dei telegiornali, perché i giornalisti durante Tangentopoli hanno seguito il vento che tirava, si sono lasciati trascinare dal soffio della piazza, e spesso dalla caccia alle streghe. Sono stati dei veri piromani, che volevano il rogo, e si sono macchiati di un'infame abdicazione».
LA MISSIONE
La «redazione giudiziaria unificata» si formò il 21 aprile 1992 alla pizzeria Gambarotta di via Moscova, e la motivazione ufficiale era non disperdere notizie, gestire la sovrabbondanza, prevenire le censure, in pratica disciplinare la strumentalizzazione che di loro faceva palesemente Di Pietro in cambio di vanagloria.
la deposizione di bettino craxi davanti ad antonio di pietro
Un cronista del Corriere l'ha ammesso trent' anni dopo: «Dal 17 febbraio 1992 ogni interrogatorio, verbale, arresto s' è sempre tradotto in un passo verso il primo, vero bersaglio dell'inchiesta, il Cinghialone». Craxi.
«Dovremmo chiederci se sia normale che un'inchiesta abbia un bersaglio...o se sia opportuno che i cronisti che la seguono vi partecipino con tanta foga da considerare un successo un atto di accusa».
raul gardini
E pure stappare una bottiglia per specifici avvisi di garanzia, appendere il primo lancio Ansa dell'avviso a Craxi, stampare magliette con scritto «Anch' io seguo Mani pulite», partecipare a festicciole in una villetta di Merate - del fidanzato della mia amica carissima Cristina Bassetto, ex Avanti!, morta nel 2017 - dove per caso c'ero anch' io, e dove c'era pure la prosperosa segretaria che un giorno avrebbe passato a un cronista del Corriere la fotocopia del mandato di comparizione per il premier Silvio Berlusconi, 21 novembre 1994.
MARIO CHIESA CRAXI
Ma il pool dei cronisti in quel periodo si era già praticamente sciolto, anche se mondo continuava a girare attorno sempre alla stessa cosa. Sì, quella. Capitò anche quando il Carabiniere Felice Corticchia, invaghito della cronista Renata Fontanelli del Manifesto, le passò i verbali del manager Giuseppe Garofano che accusavano Raul Gardini, e che lei, sotto pseudonimo, scrisse sul settimanale Il Mondo ripresa da tutti giornali: Gardini lesse e si sparò. Ma stiamo correndo troppo.
gherardo colombo davigo di pietro
Anzitutto diamo per scontato che io da questo pool ero escluso: mi capitava di entrare nella sala stampa del palazzo di Giustizia e di vedere uscire gli altri, spesso dovevo fingere di non conoscere i soli due o tre cronisti che più tardi, segretamente e per telefono, mi avrebbero dato una mano. Non c'era notizia o carta o verbale che uscisse senza che i magistrati lo volessero, benché, materialmente, spesso provvedevano avvocati che facevano i loro interessi.
PIERO COLAPRICO
Ecco: i verbali che uccisero Gardini non erano autorizzati. Ma capitò anche a me, di rompere il giochino. Sull'Avanti! ne pubblicai uno - solo io- che chiamava in causa un democristiano moralizzatore, Antonio Ballarin, di passaggio anche cugino del pm Gherardo Colombo.
Gli altri cronisti quel verbale non l'avevano avuto, tanto che un collega, Piero Colaprico, mi disse a brutto muso che era «un falso». Invece era vero, tanto che Ballarin, con l'Avanti! sotto il braccio, chiese spiegazioni in procura e ne uscì da indagato. Che bello: brindai anch' io alle disgrazie altrui, per un giorno ero diventato un servo di procura, lo strumento di un gioco basato sulla pelle altrui.
GOFFREDO BUCCINI
TRUPPA E SOPRANNOMI
Ma non abbiamo ancora inquadrato la truppa dei ragazzotti. Bruno Perini del Manifesto, nel 1993, li descrisse così: «A Tangentopoli i giornalisti hanno avuto il loro padrone: la magistratura... si sono scordati pezzi del Codice penale, pezzi importanti delle garanzie che la legge prevede per gli imputati... sono diventati i portavoce della Procura e i depositari dei verbali d'interrogatorio... Con un'aggravante: le fonti di informazione erano univoche».
I cronisti chiamavano «Dio Zanza» o «Zanzone» Di Pietro (imbroglione in milanese) mentre il capitano Zuliani era «Mago Zu» e il tentacolare avvocato Federico Stella era «Luce prima», il cronista Buccini del Corriere era «Duracell» (sarebbe stato meglio Lexotan) e Luca Fazzo di Repubblica era «Panzer». Il decano dell'Ansa li chiamava «quelli che ce l'hanno sempre duro».
LUCA FAZZO
Un mensile di categoria, Prima Comunicazione, li descrisse come «un gruppo di cronisti che si comporta in maniera alterata, abbandonando il privato». Buccini del Corriere ha scritto: «Nella nostra sala stampa comincia a fare capolino un biondino poco più che ventenne. Si chiama Filippo Facci... ci fa l'effetto di un milite di Salò entrato per sbaglio in una riunione del Cln. Sta cominciando a raccogliere carte che in capo a un anno finiranno sotto l'ambigua etichetta degli "omissis di mani pulite"... è un collega, persino più giovane di noi... In un altro tempo saremmo solidali.
Ora gli stendiamo attorno una specie di cordone di avversione e isolamento. Del resto ci sentiamo più che mai in prima linea». In prima linea a sparare e basta: senza controffensiva. Ma con la forza della fede: «Che avessimo più o meno tutti una formazione di sinistra è vero. L'inchiesta ci dava la conferma di ciò che noi avevamo sempre pensato dell'Italia: dei socialisti, degli andreottiani, di Ligresti e poi dello stesso Berlusconi.
frank cimini -foto di Giovanni Tagliavini
E quando ritieni di vedere la conferma di quello che pensi, non cerchi altre verità...Sarebbe ipocrita negare che, a parte il mio collega Brambilla, un cattolico, noialtri abbiamo quasi tutti, chi più e chi meno, un percorso di formazione che viene da sinistra... Tutto questo può non pregiudicare il lavoro nell'immediato: ma può metterlo a rischio più in là». Può e poté, infatti. Ma non erano tutti di sinistra, comunque.
GIANLUCA DI FEO
E vero che Brambilla era un moderato, infatti lasciò il gruppo e cedette il posto al più esaltato Gianluca Di Feo. Paolo Foschini di Avvenire, il giornale dei vescovi, aveva poco da fare il compagno. Frank Cimini del Mattino lo era pure, di sinistra, ma in stile «manifesto», un garantista sovrastato dai fatti. Maurizio Losa della Rai, molto vicino a Di Pietro, era un ordinario reggimicrofono. Andrea Pamparana del Tg5 era figlio del portinaio di casa Pillitteri ed era un bravo ragazzo.
Andrea Pamparana
Enrico Nascimbeni dell'Indipendente, figlio del noto Giulio del Corriere, non era nulla che abbia senso classificare. Giustizialisti puri erano Buccini, Paolo Colonnello (Il Giorno, amicone di Di Pietro) e Peter Gomez (Il Giornale) e i cronisti dell'Unità più ovviamente Luca Fazzo e Pietro Colaprico, quest' ultimo capace di scrivere un libro titolato «Capire Tangentopoli» senza mai nominare (mai) l'epicentro fondamentale di Tangentopoli sfuggito clamorosamente ai magistrati milanesi: il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, il cui ruolo fu scoperto solo nel 1996 da un'altra procura.
AMMISSIONI
Luca Fazzo nel 2011 ammetterà che l'inchiesta non sarebbe stata possibile «con il rispetto formale delle regole», e che ci fu la «sospensione temporanea delle garanzie». E che sarà mai. Ancora Fazzo: «Erano stati suddivisi i compiti: a L'Espresso si davano i verbali, al Corriere le interviste. Borrelli si affacciava nel corridoio e diceva «Chiamatemi Buccini», voleva dire che aveva bisogno di essere intervistato».
ANTONIO DI PIETRO ACCERCHIATO DA CRONISTI DURANTE MANI PULITE
Signorsì signore. Quando poi uscirono il «dossier» del Sabato e il mio semiclandestino «Omissis di Mani pulite», che rivelavano giù un sacco di verità sull'ambiguo Di Pietro e criticità su Mani pulite, ecco Buccini trent' anni dopo: «Sarebbe stato nostro compito di giornalisti trovare quelle verità intermedie, se esistono, o almeno disporci a cercarle, per raccontarle... Non siamo in grado di farlo».
antonio di pietro gherardo colombo francesco greco piercamillo davigo
Non furono in grado di fare i giornalisti: perché fare i giornalisti significa scrivere e farsi inseguire dai magistrati, non inseguire i magistrati per pietire carte e cartacce, come dei Travaglio qualsiasi. In quei due «dossier» non c'era una sola cosa falsa, ma tutti i giornali ne imboscarono a dir poco i contenuti. Ancora Buccini del Corriere, trent' anni dopo, la liquiderà così: «Un lavoro di verifica sul passato dell'eroe nazionale avremmo ben potuto e dovuto farlo anche noi... Non lo facciamo.... Dismettiamo la pratica stampigliandovi sopra il timbro «spazzatura» e ci mettiamo l'animo in pace».
antonio di pietro 3
Ma di vero c'era tutto, in quei dossier. Una sentenza bresciana ne darà questa definizione: «Puntigliosa analisi di fatti meticolosamente documentati... contrassegnati da profili di rilevanza quanto meno disciplinare... in quel dossier ve n'era abbastanza per ottenere una qualche attenzione da parte di autorità disciplinari». Per Di Pietro. C'è da capirli, i cronistelli: dovevano render conto a capi e direttori, quelli che la sera si telefonavano per concordare le pagine. Ne parliamo domani, come di certi telegiornali.
peter gomez foto di bacco