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La prima esplosione scuote il centro di Kabul attorno alle 12.40. Segue una battaglia intensa a colpi di mitra e bombe a mano. Il combattimento si estende a tutto il quartiere di Wazir al Barkhan, quindi raggiunge la vecchia zona verde di Shareh Naw, dove sono concentrate le ambasciate e, sino alla vittoria talebana di Ferragosto, si trovava il comando della coalizione internazionale a guida americana. Una seconda esplosione avviene verso le 13.20. I talebani fanno arrivare le loro forze speciali con diversi elicotteri.
A questo punto è chiaro per tutti che si tratta di un attacco ben organizzato contro il grande edificio di Sardar Mohammad Daud Khan, che è il vecchio ospedale militare. Circa 400 letti, una volta utilizzati dalle forze di sicurezza afghane, oggi dai combattenti talebani. «La città è stata completamente paralizzata dalla battaglia. Un acre fumo nero ha invaso le vie. Tutta la zona è stata presidiata da centinaia di posti di blocco. Nessuno è potuto uscire per ore. E il cessato allarme è arrivato soltanto dopo le 18. C'è molta confusione, l'incubo del ritorno degli attentati preoccupa la popolazione», spiega al Corriere un testimone il cui ufficio è vicino all'ospedale militare.
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Accadeva ieri a Kabul. Il primo bilancio: 25 morti e una cinquantina di feriti. L'ospedale locale di Emergency ha ricoverato 21 feriti. Non è chiaro se tra le vittime si contino pazienti dell'ospedale militare, sicuramente ci sono medici e infermieri, oltre a guerriglieri talebani. Tra questi si trova anche Mawlawi Ahmadullah Mokhles, che fu il primo dei loro leader a conquistare Kabul.
I portavoce talebani segnalano che «il commando era composto da 6 terroristi», di cui 2 sarebbero stati catturati, gli altri uccisi. Loro negano che gli aggressori siano riusciti ad entrare nell'ospedale. Però testimoni locali raccontano di combattimenti all'interno dell'edificio subito dopo la prima esplosione, pare causata da un kamikaze in moto. In serata non c'erano dichiarazioni ufficiali circa l'identità del commando. Ma l'Isis ha rivendicato la paternità dell'attacco nella notte. L'ultimo di una lunga serie.
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Appare infatti evidente che l'Afghanistan è ormai diventato terreno di sfida aperta tra il nuovo governo talebano, specie le sue correnti più nazionaliste interessate al riconoscimento della comunità internazionale, e invece le colonne locali del Califfato, meglio note come Isis-Korashan. Pare contino oltre 2.500 militanti, la maggioranza stranieri, che secondo l'intelligence Usa potrebbero cercare di lanciare operazioni sul territorio americano «entro sei mesi».
Gli attentati più gravi in Afghanistan, dopo quello all'aeroporto di Kabul il 26 agosto (170 morti), sono ripresi ai primi di ottobre. Una moschea nel centro della capitale presa di mira da un kamikaze mentre era riunita in preghiera la dirigenza talebana. Seguì l'8 ottobre il massacro di fedeli sciiti-hazara nella moschea di Kunduz: almeno 43 morti e 140 feriti. E un altro simile a Kandahar con una cinquantina di morti e oltre 70 feriti.
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Ma è nella provincia orientale di Nangarhar, lungo il confine col Pakistan, dove lo stillicidio di violenze si sta trasformando in guerra guerreggiata. La pesante censura imposta dai talebani sui media rende difficile fornire cifre precise. Tuttavia, non passa giorno senza incidenti, specie a Jalalabad, il capoluogo. I talebani tendono a celare il numero dei loro caduti e presentano le condanne a morte di locali come «punizioni di criminali», che in realtà sono attivisti di Isis, spesso impiccati dopo processi veloci.
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