PORNO DI CARTA
Marco Cicala per “Il Venerdì - la Repubblica”
Sotto i capelli brizzolati e un accenno di riporto, aveva una bella faccia hard boiled con tanto di solchi virili sulle guance. Agli esordi indossava camicie leopardate aperte su cavezza d’oro culminante in crocifisso. In seguito adottò una mantella di cammello più consona al personaggio del quale sosteneva essere l’erede: quel Cagliostro con cui oltre al cognome condivise origini siciliane e andazzi spericolati.
Ma Saro Balsamo ebbe inscritto nel nome pure il destino, giacché balsamico sarebbe effettivamente stato per i bollori di una moltitudine silenziosa però inquieta, clandestina ma assai remunerativa. Tutto cominciò cinquant’anni fa, novembre 1966, con la coscia dell’anglo-birmana Rosemarie Dexter che squarciava un grande numero 1 fatto di carta. Era la prima copertina di Men, apripista dei settimanali italiani «per uomini». A ordirlo è una coppia fatale: Balsamo e l’allora sua consorte Adelina Tattilo, pugliese, classe 1923, studi dalle Orsoline.
PORNO DI CARTA
Dotati di fiuto rapace, antenne sensibilissime all’air du temps, sono entrambi animali da editoria. E furbescamente avviano quell’impresa con i toni alati della battaglia di civiltà, della crociata emancipatrice: «In tutti i Paesi liberi e moderni hanno fatto fortuna le riviste per gli uomini» si proclamava nell’editoriale. «In Italia adesso ci proviamo noi. Qualcuno vorrà accusarci di pornografia, saranno gli ipocriti di sempre. Ma in qualche modo ce la faremo. L’Italia è ormai diventata adulta. Almeno lo speriamo».
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Parte così Porno di carta (Iacobelli editore), ovvero l’avventura dell’hardcore italiano ripercorsa attraverso le gesta di don Saro, l’uomo che traghettò il Paese verso l’eros di massa. L’ha scritto il giornalista Gianni Passavini, che un giorno dell’82 si trovò a un bivio: volare a Beirut per raccontare la guerra civile libanese, o infilarsi in un palazzo meneghino dove lo aspettava un meno eroico ma più solido contratto da redattore ordinario. Stipendio: un milione al mese. Lui scelse il palazzo meneghino, via Fatebenefratelli 15. Al terzo piano c’era la redazione di Le Ore. Passavini ci sarebbe rimasto per una decina d’anni. Se oggi riguardi i nudi su quel primo numero di Men sei sopraffatto dalla tenerezza. Tanta epidermide, ma non un capezzolo mostrato né, figurarsi, un sospetto di ombra pubica.
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Abbottonature che però non bastano a fermare la mano vindice della Procura: Men viene subito sequestrato. È il primo di una sequela di oscuramenti-show dai quali il porno si rialzerà sempre più allupato e baldanzoso. Le redazioni primigenie della stampa erotica meritano una sosta di riflessione. Erano una tortuga per rescapés d’ogni razza e credo. C’erano i transfughi di Lo Specchio, il settimanale inventato da Giorgio Nelson Page, «americano nato a Roma, con trascorsi nel Minculpop, il ministero fascista della cultura popolare». Attorno a sé aveva radunato una tribù «di giornalisti dichiaratamente o genericamente orientati a destra». Tra questi, i futuri dioscuri del Bagaglino Mario Castellacci e Pierfrancesco Pingitore; il barone Enrico De Boccard, già tenente nella Guardia Nazionale di Salò; o Luciano Oppo, reduce della X Mas.
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Poco importa che su una copertina dello Specchio si tuonasse contro l’oscenità dilagante nelle edicole: nella sottostoria politica del porno italiano le frontiere ideologiche sono porose, gli assiomi della vecchia morale e della religione tutti negoziabili. Perciò i prodi Oppo e De Boccard si ritrovano arruolati nella “Brigata Balsamo”, ossia «una specie di Legione Straniera » che li vedrà lavorare fianco a fianco con gente tipo Franco Valobra, intellettuale raffinato, ebreo, ex Partito d’Azione; e a partire dal ‘68 con tutta una nidiata di cuccioli scaturiti dalla composita sinistra extraparlamentare.
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Nei decenni si avvicenderanno al desk femministe, ex partigiani, militanti dei centri sociali, brigatisti in reinserimento dopo il carcere. Più che il bar di Guerre Stellari «sembrava quello di Casablanca» dice Passavini «un universo dove chi sognava il golpe conviveva con chi progettava la rivoluzione».
Lui, che si sarebbe aggiunto più tardi, veniva da Avanguardia Operaia. Tra cinismi mercenari, esigenze alimentari, variegate obbedienze, la pornoeditoria diventa il grembo libertario che in un grande abbraccio materno raccoglie furori e talenti d’una galassia di irregolari, intellettuali proletarizzati, individualità sulfuree, all’occasione geniali, e li mette tutti al lavoro.
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Inizialmente, all’offerta di carnazza si abbinano inchieste ringhiose. Nel mirino, nomenklatura Dc, Eni, Vaticano... Si indaga su speculazione edilizia, smog a Milano, sovvenzioni alle scuole cattoliche. Si azzardano controverità sulla morte di Mattei, la sparizione di Mauro de Mauro. Nel ‘66, qualcuno che su Men si firma Lucio Delnò, lancia una sarcastica requisitoria contro Aldo Moro e la schiera di bodyguard, giudicata pletorica, che lo protegge: «È vegliato a turno da ben quindici agenti di polizia. La sua abitazione, in via del Forte Trionfale 79, è sorvegliata da tiratori scelti e da campioni di judo...».
Lo stesso anno, su un giornale satirico, Pierfancesco Pingitore fornisce una descrizione ancor più minuziosa della scorta e delle abitudini del leader Dc: l’uscita di casa alle 8,30 su «un’auto ministeriale preceduta da una Giulia bianca e seguita da una blu», la messa, il ritorno casa per la colazione prima di dirigersi a Palazzo Chigi. Una scansione delle giornate che sembra «fatta apposta per essere sfruttata da eventuali attentatori...». «Seminare dubbi, depistare, irridere» certa stampa corsara, dice Passavini, «divenne una specie di buca delle lettere dove i “servizi” postavano notizie vere, false, presunte per “attenzionare” qualcuno, mettere sull’avviso, ricattare, gettare fango ».
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Spunta anche l’ineffabile Mino Pecorelli, che nel novembre ‘78, quattro mesi prima di venire assassinato, dedica sul settimanale OP «un’inchiesta assai dettagliata e piena di allusioni» alla coppia Balsamo-Tattilo. Ma il tandem è andato all’aria da un pezzo. Reduce dal crac fraudolento di una banca, lui ha lanciato le sue riviste esponendosi molto con i creditori. Troppo. Marcato stretto dalla magistratura, scappa.
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Costa Azzurra, Beirut. Quando, rassicurato dagli avvocati, rientra in Italia scopre che Adelina gli ha scippato tutto. Legalmente. Non ne può più di casini finanziari e recidive infedeltà del coniuge. Arrivano allo scontro fisico. Da lì in avanti correranno ognuno per conto proprio. Lei a Roma con Men e Playmen; lui a Milano, dove nel 1970 crea Le Ore. Aperta la breccia nei muraglioni del pudore, tra gli editori è tutto uno sgomitare per tuffarsi nel nuovo filone aurifero. Sbocciano King, Kent, Caballero...
La stampa sexy recluta firme come Luciano Bianciardi, Gian Carlo Fusco, Giorgio Saviane... Però chi compra quei giornali con l’alibi della cultura lo vedrà presto evaporare. Perché in versione “intellettuale”, le riviste erotiche non funzionano. La virata all’hardcore integrale è alle porte.
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Con una media annua di 25 milioni di copie, a fine Ottanta il porno di carta vale in Italia 180 miliardi di lire. «Lo si è dipinto come un ghetto» dice Passavini, «ma era una voce di Pil». Però il cartaceo era già bello che in crisi. I nemici dell’hard da sfogliare non sono più magistrati e censori, ma tv private, sale a luci rosse, vhs... Fino all’ultimo becchino, il web. A risollevare brevemente le fortune dei giornali furono Cicciolina e le altre della scuderia Schicchi. Era già un universo professionalizzato, molto distante dall’epopea ruspante dei primordi. Quella, per capirsi, con gli attori maschi che per motivi ancora inspiegabili non abbandonavano mai il pedalino corto. I set erano arrangiati in pensioncine, scantinati, edifici dismessi o negli scompartimenti del notturno Roma-Milano.
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Nella redazione di Le Ore il clima è goliardico. Nei tempi morti, ci si sfida a ping pong sulle scrivanie dei grafici. Durante i Mondiali di Spagna si gioca a calcetto nell’ufficio del direttore assente, il soffitto è alto abbastanza da permettere il gioco aereo e la moquette è un manto perfetto. «Si lavorava poco e si guadagnava bene. I testi erano tutti esternalizzati. Noi ci limitavamo ai titoli». Tipo: Dagli Appennini alle mutande o Che gelida micina se la lasci riscaldare. Per tacere dell’indimenticato Tira una sega a un amico e lo riduce in fin di vita. Notevole anche la gadgettistica allegata, dalla bigiotteria neoegizia allo sfizioso disco orario ritagliato sull’arco mammario di una biondona.
E Balsamo, lui, che faceva? Ma soprattutto: chi era? Si fregiava di un titolo nobiliare da pièce di Eduardo Scarpetta: Marchese di San Felice di Ischitella. Di sicuro c’è solo che era nato a Catania nel 1930 da famiglia benestante ancorché decaduta. Negli anni della Dolce Vita è il press agent di Aiché Nanà, la danzatrice turca del famoso striptease al ristorante Rugantino, 1958. Poi si butta nel mondo della canzone e pubblica Big, fortunato settimanale giovanilistico- beat.
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Ma la manna vera sarà il porno. A Milano, via Fatebenefratelli, Balsamo rileva gli spazi nei quali Giangiacomo Feltrinelli ha avviato la sua casa editrice. La Questura centrale è a un passo. Comodo. All’epoca del terrorismo e dei sequestri, i poliziotti staccano dal turno e arrotondano facendo da scorta a don Saro. Che, quanto a grandeur, non lesina.
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Siede dietro una scrivania in travertino, arreda gli uffici con sfere di Arnaldo Pomodoro e armature da samurai. Organizza party dove sui panini sono incise le iniziali SB e il caviale è a slavine: gli invitati ci riempiono i posaceneri e se li ficcano in tasca. A Portofino Balsamo compra la villa appartenuta a Rex Harrison. A Roma si fa ridisegnare l’appartamento da Gae Aulenti. Non si immischia in politica però è da sempre vicino ai socialisti e ne segue la traiettoria fino allo schianto di Mani Pulite.
Nelle interviste racconta di capitanare un impero ramificato in ditte di trasporti, fabbriche di carni o profilati di alluminio. E l’editoria? «Incide solo per un dieci per cento». I giornalisti lo trovano simpatico ma non è che gli credano granché. Interrogato da Laura Laurenzi, SB sostiene di trascorrere il tempo libero rileggendo Tacito, Cicerone. O Kant.
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Identico sputato a Umberto Eco di notte. «Fino alla fine volle presentarsi esclusivamente come un finanziere» dice Passavini. «Sul porno sorvolava. Non rivendicò mai il ruolo che le sue riviste avevano giocato nella rivoluzione delle nuove libertà. Insomma, evitò di accreditarsi come il Larry Flint italiano». Le Ore si spegne nel 2000, il suo artefice muore nel sonno cinque anni dopo. Nell’omelia funebre il prete lo ricorderà come persona molto pia. «E non c’è motivo di credere che non lo sia stato davvero». Aveva cambiato l’Italia, ma preferì restarsene al sicuro nella morale di quella precedente.
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