Enrico Franceschini per “la Repubblica”
THERESA MAY
Doveva essere il rilancio di una leadership in crisi, potrebbe diventarne l'epitaffio. Interrotta da un dimostrante che le consegna in diretta tv una "lettera di licenziamento" (più tardi si scopre che è un comico televisivo: fece uno scherzo simile a Trump), costretta più volte a fermarsi da una tosse che le fa perdere completamente la voce, Theresa May finisce quasi in lacrime il suo intervento al congresso annuale dei conservatori. Come se non bastasse, lo slogan sulla parete alle sue spalle perde lettere mentre parla, dando un tono tragicomico all' evento.
THERESA MAY E LA LETTERA DI LICENZIAMENTO CONSEGNATA IN DIRETTA
«Più che un discorso, un calvario», riassume Laura Kuenssberg, notista della Bbc, «nessuno ricorderà quello che ha detto bensì soltanto la fatica che ha fatto a terminare». Arrivata a Manchester a capo di un partito dilaniato dalle divisioni sulla Brexit, la premier britannica se ne va con l'immagine di una debolezza fisica diventata metafora di fragilità politica.
Il suo mea culpa per il deludente risultato alle elezioni di giugno («me ne assumo la responsabilità, chiedo scusa») e l'imbarazzante show sul podio umanizzano un po' la donna soprannominata "May-bot", May-robot, per l' incapacità di mostrare emozioni. Ma a questo punto «per lei è finita», sentenzia l' arci-conservatore Daily Telegraph. «Ha perso ogni autorità», concorda il Financial Times.
THERESA MAY
In pratica a Manchester è cominciato il dopo-May: il problema dei Tories è decidere quando staccare la spina alla premier e chi mettere al suo posto. Sfiduciarla troppo presto, visto che non hanno più la maggioranza assoluta in parlamento (dipendono dal partito unionista nord-irlandese per governare), comporta il rischio di un altro voto anticipato in cui potrebbe prevalere il leader laburista Jeremy Corbyn, favorito nei sondaggi.
E la contesa fra gli aspiranti alla sua poltrona minaccia di spaccare ulteriormente il partito. Perciò non è escluso che la leader senza voce, in tutti i sensi, rimanga ancora un po' al comando. In parte dipende da come avanzano i negoziati sulla Brexit. E da quanta fretta avranno i suoi rivali interni di strapparle il potere.
THERESA MAY
Ce ne sono una decina, tra moderati e ultraconservatori, su cui i bookmaker già accettano scommesse e danno quotazioni, più o meno in linea con l' opinione dei commentatori. L'ex sindaco di Londra Johnson, 53 anni, il beniamino dei "brexitiani" a oltranza, ha ottenuto un tripudio a Manchester con una retorica alla Churchill: «Facciamo ruggire di nuovo il leone», ha esortato, evocando l' animale simbolo della Gran Bretagna.
Anche se poi ha offuscato la performance con una delle sue ricorrenti gaffe, affermando che la Libia diventerebbe il Dubai se solo «ripulisse la Sirte dai cadaveri»: linguaggio indegno per un capo della diplomazia, secondo alcuni suoi colleghi, che ne chiedono le dimissioni (improbabili, vista la vulnerabilità della premier).
THERESA MAY
Più di lui entusiasma Ruth Davidson, leader dei conservatori in Scozia (dove ha raddoppiato i seggi alle recenti elezioni), filo-europea, apertamente lesbica e 39enne: l' età conta in un partito che ha il sostegno di soltanto il 27 per cento fra gli elettori sotto la trentina, come testimonia la platea di teste grigie alla conferenza di Manchester.
THERESA MAY
Tra i due litiganti non è escluso che prevalga l' outsider, Jacob Rees-Mogg, deputato, modi da "toff", il classico damerino dell' alta società, uscito (come Johnson) da Eton e Oxford, antiabortista e anti-europeo, ma spiritoso e senza peli sulla lingua. Non mancano altri contendenti di rilievo, come il ministro del Tesoro Philip Hammond (è stato lui a dare una pastiglia per la gola alla premier in difficoltà) e la ministra degli Interni Amber Rudd. Di certo c' è che Theresa May ha aperto il congresso dichiarando che guiderà i Tories alle prossime elezioni e l' ha finito non lasciando dubbi che a guidarlo sarà qualcun altro. Per ora senza voce, sembra solo questione di tempo affinché rimanga anche senza incarico.