1. LE MIRE DI PECHINO SUI PORTI ITALIANI PERCHÉ LA CASA BIANCA È PREOCCUPATA
Alessandro Orsini per ''Il Messaggero''
porto di trieste
Trump teme che la Cina possa conquistare i porti italiani per quattro ragioni principali. La prima è che conosce la strategia di Xi Jinping, il quale vuole creare una catena di porti dalla Grecia all'Italia. La Cina ha infatti acquisito il controllo del porto del Pireo in Grecia, dove ha investito 600 milioni di euro con la sua Cosco Shipping, e adesso vorrebbe ripetere l'operazione con l'Italia. La seconda ragione è che la Cina intende conquistare questi porti non soltanto per trasportare le sue merci, ma anche per ampliarli costruendo infrastrutture energetiche e altre colossali costruzioni.
La Cosco Shipping intende trasformare il porto del Pireo nel più grande d'Europa, raddoppiando la sua attuale capacità di scarico, ma anche edificando tre hotel e un centro commerciale. Dunque, la Cina non si limita a stringere accordi per il transito delle sue merci; mira ad acquisire porzioni di territorio. La preoccupazione di Trump è che, una volta acquisito il controllo (di fatto) di un territorio, la Cina possa installare apparecchiature per raccogliere informazioni sensibili relative alla sicurezza dei Paesi europei e della Nato in generale. Nello specifico, la paura prende il nome del 5G di Huawei.
mike pompeo luigi di maio
Trump osserva una manovra congiunta, che unisce i porti alle nuove tecnologie informatiche. La terza ragione è simbolica: la capacità di un Paese di mettere a segno obiettivi complessi e ambiziosi accresce il suo prestigio internazionale e la sua credibilità. In effetti, se la Cina riuscisse a legare i porti greci e quelli italiani per le sue rotte commerciali, questo sarebbe un successo straordinario, tanto più difficile perché l'intera operazione avverrebbe all'interno di due Paesi della Nato.
La quarta ragione riguarda la possibilità di uno scontro armato tra gli Stati Uniti e la Cina nel Mar Cinese Meridionale. Gli Stati Uniti vorrebbero evitarlo, ma sanno che è una possibilità oggettiva. Nel caso di un conflitto, la Casa Bianca avrebbe bisogno di portare dalla sua parte tutta l'Europa, che però sarebbe difficile compattare, una volta che la Cina abbia assunto una notevole influenza sulla vita politica ed economica dei suoi membri principali. Trump ha già assistito a una spaccatura di questo tipo. Il 19 maggio 2020, aveva chiesto all'Organizzazione mondiale della sanità di condannare la Cina per la diffusione del coronavirus, ma i Paesi dell'Unione europea si sono schierati con Pechino, isolandolo.
Quanto all'Italia, gli investimenti cinesi fanno gola, soprattutto a quelle aree che lottano con più difficoltà contro la disoccupazione. Un'operazione nel porto di Taranto, analoga a quella del Pireo, cambierebbe il volto di una città e il suo tenore di vita. L'idea che la Cina possa spendere 600 milioni di euro, costruire tre hotel e un centro commerciale, in una città del Meridione d'Italia, non può non allettare Conte. È noto agli americani.
porto di trieste
D'altra parte, sono stati proprio loro a lanciare l'allarme sui porti italiani con un articolo del New York Times del 18 marzo 2019, firmato da Jason Horowitz, che raccontava le mire di Xi Jinping sui porti di Trieste, Genova e Palermo. L'articolo ritraeva l'Italia come la vera porta d'accesso dei cinesi all'Europa. L'immagine dell'Italia cavallo di Troia sta conquistando la mente di Trump. Oggi gli Stati Uniti hanno bisogno di Conte contro la Cina come un tempo avevano bisogno di De Gasperi contro l'Unione Sovietica: in entrambi i casi, la paura era il sorpasso. La Cina sta svolgendo una funzione utile nel rilancio internazionale dell'Italia.
2. TRIESTE PUNTA SU AMBURGO PER FERMARE LA MARCIA CINESE ALLA CONQUISTA DEI PORTI UE
Luca Pagni per ''la Repubblica''
Trieste ferma l’avanzata degli operatori cinesi alla conquista dei porti dell’Europa, in particolare del Mediterraneo, e sceglie di allearsi con Amburgo. Sotto la spinta del grande progetto Belt & Road Initiative, le società controllate dal governo di Pechino negli ultimi anni sono riuscite a mettere un piede a Valencia, Marsiglia e Vado Ligure (sotto il controllo del porto di Genova). Ma l’espansione riuscita nel Mediterraneo occidentale è fallita, per il momento, nell’Adriatico.
Ad arrestare la grande marcia cinese alla conquista dei mercati della Ue è stato il principale operatore del porto di Amburgo, la società HHLA. Quotata alla Borsa di Francoforte, ha come primo azionista (64,8%) la municipalità del grande centro che si è sviluppato sull’estuario del fiume Elba: Hamburger Hafen und Logistik Ag ha 6.300 dipendenti e un fatturato di oltre 1,35 miliardi di euro, grazie alla gestione di 4 terminal ad Amburgo, oltre al terminal di Odessa in Ucraina e quello di Tallin in Estonia.
mike pompeo giuseppe conte
La società tedesca ha chiuso ieri l’accordo per rilevare il 50,1% della Piattaforma Logistica di Trieste, la nuova espansione del porto giuliano, con una dimensione di 24 ettari, un doppio attracco e un collegamento diretto con la rete ferroviaria. Una partnership pubblico-privata, visto che gli altri soci sono una società di costruzioni (Icop, specializzata in microtunnel, fondazioni e strutture portuali, partecipata dalla finanziaria regionale Friulia), uno degli spedizionieri di più antica data (Francesco Parisi spa, con 200 anni di attività a Trieste) e l’Interporto di Bologna, la società a partecipazione pubblica che ha sviluppato una delle piattorme logistiche più grandi d’Europa.
Fin qui l’alleanza industriale, destinata a dare ulteriore impulso allo scalo di Trieste che, negli ultimi anni - sotto la regia dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico Orientale - è salito al primo posto in Italia per merci movimentate e al quattordicesimo in Europa. La società di Amburgo porterà i capitali necessari per nuovi investimenti, in grado «di intercettare i flussi commerciali che mettono in relazione il nord e centro Europa con l’est del mondo, grazie alla posizione di Trieste proprio di fronte alla rotta del canale di Suez e per i suoi rapporti storici ma anche infrastrutturali con il mondo tedesco», è il commento di Zeno D’Agostino, da quattro anni presidente dell’Autorità portuale.
L’alleanza con Amburgo riporta Trieste alla sua vocazione mitteleuropea: oltre a essere la porta verso i paesi dell’ex blocco comunista, può vantare una linea ferroviaria diretta con la Germania, senza scordare che dal suo terminale petrolifero parte l’oleodotto che assicura fino al 40% del greggio destinato al sistema industriale tedesco.
xi jinping recep tayip erdogan
Ma non è solo questo, come sottolinea D’Agostino: «Il cambiamento climatico sta procurando non pochi scompensi alla logistica delle merci in Germania e nel nord Europa. Non solo i canali, che a quelle latitudini sono centrali nel sistema dei trasporti, ma anche gli estuari hanno problemi di pescaggio. E Amburgo è a 100 chilometri dal mare...».
Poi c’è la questione cinese. La Belt & Road Initiative è una operazione che - secondo gli analisti e le stime pre Covid - dovrebbe mobilitare tra 1.000 e 1.400 miliardi di dollari di investimenti infrastutturali per facilitare i collegamenti commerciali attraverso l’Asia e da qui in Europa. E i porti, che entro pochi anni copriranno il 90% della movimentazione delle merci a livello globale, sono uno degli snodi principali della strategia di espansione di Pechino. Lo si vede da come gli operatori hanno, di fatto, circondato le coste della Ue, con una rete che parte idealmente da Istanbul e arriva fno al mare del Nord.
via della seta
I tedeschi - con una operazione partita dalla politica - hanno così deciso di accettare la sfida cinese e di puntare sul “vecchio” porto degli Asburgo: non per nulla della partita sarà anche la società di gestione del porto di Duisburg: investirà nell’interporto di Trieste.