Luca Valtorta per “il Venerdì di Repubblica”
TIM BURTON A LUCCA COMICS 2022
C'è un raggio di sole che filtra tra le nubi in questa giornata di novembre e illumina le colline tutt' intorno. Siamo sul tetto dell'hotel che guarda Piazza del Giglio in occasione di Lucca Comics & Games, dove Tim Burton è venuto a presentare la sua serie tv Mercoledì, su Netflix dal 23 novembre.
Il riferimento non è al giorno della settimana, ma alla bambina della famiglia Addams, figlia di Gomez e Morticia. Il giorno prima Burton, a sorpresa, aveva salutato ottomila fan adoranti travestiti da Mercoledì da un balcone in piazza San Michele. Proprio come lei è vestito di nero, cappello largo, giacca enorme e grandi occhiali. È uno dei registi più importanti al mondo, tra i pochi ad aver creato uno stile così riconoscibile che quando vediamo qualcosa di simile lo definiamo "alla Tim Burton".
TIM BURTON A LUCCA COMICS 2022
Nell'inferno di Hollywood ha creato una casa per i "reietti" e le persone strambe di tutto il mondo. Ed è in un posto simile, una scuola chiamata Nevermore («Sì, certo, è un riferimento a Edgar Allan Poe», spiega) che si svolge la storia di Mercoledì. Diversa dalle altre serie perché invece di stupire con colpi di scena ha uno sviluppo tutto interiore, la cui complessità si coglie solo con la visione prolungata e prendendosi il tempo per rifletterci sopra.
Cominciamo dai comics, protagonisti qui a Lucca: è vero che lei non riesce a leggere i fumetti? Dislessia?
«Mah, una specie. Quando andavo a scuola, bisognava fare tutti i giorni il giuramento alla bandiera. Iniziava dicendo che dovevi mettere la mano destra sul cuore. E ogni mattina per dieci anni combattevo con questa cosa: qual era la mia mano destra? Così nei fumetti non riesco a capire qual è il baloon giusto da seguire, faccio confusione».
TIM BURTON A LUCCA COMICS 2022
Che tipo di studente era lei?
«Semplice: io ero Mercoledì. Non parlavo granché, non stavo molto con la gente e quando ci provavo sembrava che dessi fastidio».
Ha avuto problemi con i bulli?
«No, probabilmente emanavo una sorta di vibrazione negativa, un meccanismo naturale di difesa che diceva alla gente che mi stava intorno: "Hey, quel tipo lasciatelo per i fatti suoi!". Non dovevo dire nulla: era proprio qualcosa che la gente avvertiva come quando un animale emana un certo odore che tiene alla larga anche i predatori più pericolosi» (ride).
helena bonham carter tim burton
La scuola è stata importante per lei?
«No, non molto. Non ero un bravo studente, passavo la maggior parte del tempo cercando di non fare le cose. Usavo metodi estremamente elaborati per evitare di fare i compiti. Perdevo tantissimo tempo con ogni scusa possibile. Ci avrei messo molto meno tempo a farli».
Da quello che sentiamo qui in Europa, la scuola americana fa paura: bullismo, persecuzione dei diversi, e poi ovviamente stragi
«Sì lo so, è orribile. Quello dell'adolescenza è un periodo potente della vita, sono anni di formazione in cui impari a socializzare, ad avere a che fare con le altre persone: sono la radice di tutto quello che verrà. E il fatto che le cose vadano così male è spaventoso e allarmante. Ed è molto più terrificante oggi di quando ci andavo io».
Secondo lei qual è il meccanismo che crea questa miscela esplosiva: l'estrema competizione?
«In America c'è questa idea di "America First", e cioè che l'America è una specie di traino per il resto del mondo e una porta verso il successo. E poi c'è una forte etica del lavoro, il che è una cosa buona. Ma certo, tutto questo crea competizione: e io credo che sia salutare in una certa misura, ma non se va oltre e sorpassa la dimensione etica».
helena bonham carter tim burton
Mi sembra che la sua storia insegni che c'è un'altra componente fondamentale oltre la competizione per avere successo, grande o piccolo che sia non importa: la passione.
«Esatto! La passione è la cosa più importante. Nella mia vita non ho mai pensato: "Oh, ecco, questa è la cosa giusta per il successo! Con questo diventerò famoso". L'idea del successo per il successo ti fa ritrovare in un posto non buono per il cuore e l'anima».
TIM BURTON A LUCCA COMICS 2022
Per questo molti si riconoscono nei personaggi dei suoi lavori, da Edward Mani di Forbice a Ed Wood e adesso Mercoledì
«Lo stesso è successo a me quando guardavo vecchi film che mi parlavano, mi hanno ispirato e sono stati per me come una terapia. È una cosa per cui sono grato e se sono stato capace di fare questo per altri ne sono felice».
Che tipo di film l'ha ispirata?
«Vecchi film di mostri che comunicavano con me a livello simbolico, aiutandomi a capire meglio me stesso».
tim burton con i figli foto di bacco
Lei non segue un processo razionale in quello che fa, vero?
«No, infatti. Di solito tutto nasce da qualcosa che mi sorprende e non so bene nemmeno io cosa sia, ma è legato alle sensazioni. Una cosa organica piuttosto che meccanicistica».
Non a caso ama Federico Fellini.
«Sì, credo che lui abbia catturato proprio l'essenza di cui è fatto il lavoro del regista. E di quella strana famiglia intorno al regista che è il cinema. Nei suoi film Fellini cattura quel "non so", che non puoi definire, puoi solo sentirlo, ma è capace di tirarti dentro senza che te ne accorgi».
Paolo Sorrentino, in Italia considerato l'erede di Fellini, risponde "non so" quando gli chiedono "ma perché nel tuo film a un certo punto c'è questa cosa?"
«Esatto! È la risposta giusta!».
tim burton foto di bacco (3)
Tornando a Mercoledì: ha incentrato la serie sulla scuola, ma una scuola per "outcast", appunto: eppure anche in quel contesto finiscono per verificarsi certe dinamiche
«Vero. Mercoledì è una reietta anche tra i reietti. Succede. Ci sono persone che non possono fare a meno di esserlo. O comunque ci sono momenti in cui capita di sentirsi così, di non capire a cosa appartieni».
Della Famiglia Addams l'ha ispirata il fumetto o la serie?
«Il fumetto è stata la prima cosa che ho visto. Mi piacevano i disegni, la chiarezza grafica e lo humour. La sua semplicità nella sofisticatezza. E riuscivo a leggerlo perché di solito non c'era testo o al massimo una breve frase sotto il disegno».
E della vecchia serie tv cosa pensa?
«Da ragazzo la guardavo. In quel periodo c'era anche The Munsters (I mostri in Italia, ndr) ed era una sorta di battaglia: "Tu sei del team Addams o sei del team Munsters?"».
Lei di che team era?
tim burton foto di bacco (5)
«Mi piacevano entrambi. Sulla famiglia Addams sono stati fatti anche buoni film e non volevo farne un altro. Però c'era questo personaggio, Mercoledì, che mi ha sempre intrigato: era vista come una bambina ma a me piaceva invece l'idea di farne un'adolescente che aveva a che fare con la scuola, con i sentimenti, analizzarne il rapporto con i genitori. E anche i presunti problemi psicologici, la terapia con la psicologa: i problemi di un'adolescente di oggi».
Infatti l'unica cosa che a Mercoledì fa paura sono i social network.
«Beh, lei esprime quello che provo io a riguardo» (ride).
Stiamo diventando schiavi di un algoritmo che fruga nei nostri cervelli.
«È la cosa che mi fa più paura perché non la capisco, ma ne vedo il pericolo».
Con i teenager è ancora più spaventoso.
«Ci sono ragazzi che si uccidono perché non hanno abbastanza like o perché vengono presi in giro per qualche motivo. Lo vedo con i miei figli: è un mondo completamente nuovo. Non saprei neanche quantificare quale possibile danno psicologico possa derivarne».
tim burton
Mercoledì dice che per lei i social sono «una sorta di buco nero».
«Quando guardo Internet comincio a sentirmi depresso, mi sembra di entrare in un luogo oscuro».
Cosa la spaventa dei social?
«È come se la tua mente seguisse un percorso attraverso le vite degli altri che promuovono se stessi in una maniera che io trovo alquanto bizzarra».
Di recente in Italia è stata scoperta una chat in cui oltre 700 minorenni si scambiavano immagini terribili, come fosse una prova di coraggio.
«Quando sei giovane accade a tutti di ribellarsi contro i genitori. È così che costruisci te stesso: guardi film che non dovresti guardare, fai cose che ti sono state proibite, dici cose che non dovresti dire. Ma sei comunque in un network di sicurezza. Con Internet invece è come entrare dentro un vaso di Pandora, un territorio oscuro e sconosciuto».
In cosa una serie è diversa dai film?
«Onestamente non è molto diversa: è solo più veloce e più frammentata».
In sette-otto ore si possono però cogliere vari aspetti di un personaggio «Vero. E Jenna Ortega (l'attrice che interpreta Mercoledì, ndr) è stata bravissima a far filtrare la sua personalità a poco a poco, a mostrare il conflitto dentro di sé senza cambiare o attenuare il suo personaggio che ha una personalità molto forte e complessa».
tim burton foto di bacco (4)
La famiglia Addams incarna molte contraddizioni: è dark ma allo stesso tempo fa parte dei buoni.
«Sotto la superficie anche delle famiglie più "classiche" e rispettabili c'è spesso una dialettica estrema sia in positivo che in negativo».
Perché ha deciso di concentrarsi sul personaggio femminile?
«Perché offre la possibilità di raccontare il rapporto madre-figlia che è molto più specifico e complesso di quello madre-figlio o padre-figlio. Lo vedo con mia figlia e con sua madre».
Lei oggi vive in Inghilterra: perché se n'è andato da Hollywood?
«Sono nato a Burbank, dove c'era la sede della Disney, che è il primo posto in cui ho lavorato come animatore. Ho lavorato per molti anni a Hollywood e a un certo punto ho semplicemente pensato che ne avevo abbastanza».
tim burton foto di bacco (7)
Era sempre una battaglia?
«All'inizio era divertente e ho avuto la possibilità di fare quello che mi piaceva. Però poi mi sono stancato del fatto che comunque erano sempre un po' preoccupati di quello che stavo facendo. Oppure non lo capivano, il che andava benissimo visto che io stesso non lo capivo (ride ancora).
Ma è logico, è un grosso business e avevano paura che buttassi via i loro soldi. Ma anche quando i miei film andavano molto bene era come se persino questo li irritasse visto che andava contro tutti i loro cliché».
HELENA BONHAM CARTER AND TIM BURTON
Lei è una persona di successo, anche se diversa da quelle che siamo soliti considerare tali. È anche felice?
«Felice? Mmm, mettiamola in questo modo: non lo sono di natura. Ma trovo il modo di esserlo. Riconosco delle cose che per me sono... speciali. Come quando fai un viaggio e trovi delle cose che non ti aspetti o fai qualcosa che non pensavi di saper fare. È importante non essere sempre depresso e oscuro. Ecco, sì, cerco di trovare sempre un po' di felicità intorno a me. Credo che sia una cosa buona per tutti cercarla, soprattutto in un periodo scioccante come quello che stiamo vivendo».