DAGOANALISI
La novità, da incubo, inquieta e rattrista.
Anche se Dagospia (tra i pochi osservatori) aveva intravisto, anzitempo, le ombre minacciose e devastanti che stavano per addensarsi su via Solferino.
Una novità non da poco alla vigilia dell'assemblea di fine maggio dell'Rcs Media da cui dipende il futuro del primo gruppo editoriale italiano.
Già, perché dopo i lettori e gli inserzionisti pubblicitari, anche gli armatori-azionisti stanno per abbandonare, come topi impazziti, la "corazzata Corriere". Lì dove fino a poco tempo fa hanno rosicchiato indisturbati nelle stive provocando enormi falle. Ed è la prima volta che ciò accade.
Nella sua lunga storia, il quotidiano milanese è stato sempre "preda" dei Poteri marci, di ieri e di oggi.
Ma adesso che la "corazzata Corriere" rischia di affondare sotto il peso dei debiti accumulati nei lunghi anni di sciagurate piraterie finanziarie (e di scelte editoriali dissennate), il prode Dieghito Della Valle - nel ruolo ribaldo che al cinema fu di Marlon Brando sulla tolda del Bounty -, guida gli ammutinati nel "patto di sindacato".
fratelli benettonGli azionisti non bancari (Benetton, Rotelli, Merloni, Lucchini, Pesenti etc) che ben prima dell'ultima tornata elettorale hanno capito che il vecchio Corrierone, gestione Flebuccio de Bortoli, conta meno di zero nel teatrino della politica. E è più una bussola per orientare l'opinione pubblica. Meglio allora darsela a gambe levate. Magari perdendoci qualche milioncino se il "gioco" (il "Corriere") non vale la "candela" (un peso in politica e nelle banche per scambiarsi favori e protezioni).
GIUSEPPE ROTELLIStando così la realtà dei fatti, le stesse mire espansionistiche in Rcs dello Scarparo di Casetta d'Ete sulla proprietà oggi appaiono in netto calo. E chi sa se grazie alla contiguità, non solo professionale, con l'eccellente giornalista Enrico Mentana, direttore di Tg7, Dieghito el Dritto non sia più propenso, sembra a investire i propri soldi nel gruppo televisivo La7, appena acquisito da Telecom dall'editore Urbano Cairo.
Ma, almeno per un mino di decenza, prima di saltare al collo dei "pattisti" nel ruolo del moralizzatore-vendicatore, il DrHogan&MrTod's avrebbe dovuto fare un minimo di autocritica dopo aver partecipato e contribuito a tutte le decisioni sballate del gruppo. E, in aggiunta, sostenuto fino alla fine il suo amichetto, l'amministratore delegato Antonello Perricone, che una volta occupato il posto di Vittorio Colao (contrario all'operazione) andò alla conquista di Recoletas in Spagna.
MERLONIErano le stagioni dei pattisti megalomani (se non peggio) guidati, almeno all'inizio da Cesare Romiti, che nell'impresa ci ha rimesso tutta la liquidazione della Fiat. Con le acquisizioni-pacco in Spagna e quelle ambiziose in Francia (Flammarion). E ancora. L'ampliamento, inutile, della fabbrica di via Solferino - venduta e riacquistata poi dalla Pirelli Real Estate del solito socio in conflitto d'interessi, Marco Tronchetti Provera -, e la realizzazione di un torracchione, altrettanto superfluo, in quel di Crescenzago.
Due opere, faraoniche dai costi mostruosi, firmate dalle archistars di grido, Gregotti e Boeri. Mentre, al tempo stesso, era messa in vendita la preziosa rete delle librerie Rizzoli. Il Mattone, insomma, preferito ancora una volta alla carta.
L'elenco delle scelte sbagliate, dimenticate in fretta dal furbo Della Valle - che propugna l'arrivo di un "commissario" in via Solferino -, è davvero lungo.
L'acquisto di emittenti radiofoniche e di banche dati che ben presto saranno liquidate; le Befane elargite generosamente a manager, spesso inetti, (super liquidazioni e bonus). Quasi 150 milioni di euro, che rappresentano almeno un quarto dell'aumento di capitale che oggi faticosamente si sta cercando di mettere insieme per salvare l'Rcs Media Group dal fallimento.
Un'azienda dotatisi di una governance che fino a poco tempo fa pesava sui propri bilanci annuali per oltre 10 milioni di euro. E altrettanti erano destinati ai collaboratori esterni, pagati anche per non scrivere una riga.
Intanto, sul pennone della sede storica di via Solferino, simbolo ormai centenario di Milano - nell'indifferenza totale delle sue autorità e della gente -, sventola da mesi il cartello "vendesi".
Quasi una resa d'atto, simbolica e tragica, del profondo "distacco" che nel tempo si è andata consumando tra l'"istituzione" Corriere e la città. L'unica che vantava una borghesia illuminata nel Paese.
Un fenomeno, la "rottura" con il proprio bacino di lettori (oltre il 70% delle vendite in Lombardia) sul quale poco ha riflettuto sia il corpaccione redazionale sia il suo attuale direttore, Flebuccio de Bortoli. I quali, invece, hanno preferito nascondersi dietro il paravento, comodo ma ingannatore, dei new media (Internet, quotidiani on line, blog e altre trovate tecnologiche d'informazione) per giustificare le pesanti perdite di copie in edicola.
Diego Della Valle Clemente Mimum e Enrico Mentana - Copyright PizziE senza domandarsi mai se il "modello" Corriere era ancora all'altezza delle attese del suo pubblico, alto e basso. Se il loro giornale era ancora in linea con la sua tradizione moderata. Anche dal punto di vista economico, se cioè i consumatori (lettori) ti abbandonano una ragione, c'è e andrebbe analizzata. E non può essere trovata soltanto fuori dal proprio perimetro d'interesse (corporativo).
Un dato per tentare di capire la crisi d'identità del Corriere sicuramente esiste: negli ultimi vent'anni - da Tangentopoli in avanti -, il "Corriere della Sera" (e gli altri quotidiani) ha avuto una lenta emorragia di copie. Come a dire? Gli scandali, veri o presunti, l'antiplotica non pagano, almeno in termini di vendite.
Ai Poteri marci tutto ciò, però, contava assai poco. Il loro vero obiettivo era spazzare via i partiti della cosiddetta prima Repubblica, per farla franca con i magistrati che fino al 1994 non hanno toccato con le loro inchieste nessuno dei padroni dei media.
mieli paolinoAlla fine ci sono riusciti a far crollare tutto: partitocrazia e classi dirigenti. Anche se adesso si lamentano se il dio Crono dell'antipolitica sin è mangiato pure i suoi figli (prediletti)
Dopo Mani pulite il Corrierone, guidato da Paolino Mieli, si è messo a pestare ogni Casta che gli passava a tiro: medici, avvocati, spazzini, infermieri, professori, ghisa, tramvieri, consiglieri comunali e regionali, bottegai, notai, tassisti... Il tessuto forte e ramificato dei lettori di un quotidiano milanese sin dalla sua remota nascita sempre nazional-popolare.
I quali si sono stufati di andare in edicola per essere additati come dei malfattori o degli imbroglioni.
La guerra alle Caste (altrui) è continuata pure con Flebuccio de Bortoli. "...stupisce che gli unici a uscirne indenni siano i giornalisti", ha osservato il professore Alessandro Zeno-Zencovivh già nel 1995 ("Alcune ragioni per abolire la libertà di stampa", Laterza) sulla moda scandalistica in uso nei giornali. Per aggiungere:"I quali (i giornalisti, ndr) come ogni corporazione che si rispetti, si guardano bene dal mettere in discussione se stessi".
Una "frattura" con i suoi lettori e l'elite politiche (e non), dunque, impensabile fino a qualche anno fa. Quando il Corrierone faceva gola ai partiti e ai loro interessi (da Mussolini a Craxi-Fanfani). Nonché a Lor Signori del capitalismo pubblico e privato: Agnelli, Cefis, De Benedetti, Moratti, Pesenti e lo stesso Berlusconi.
Un primo giornale con la sua "autonomia", sicuramente partigiana e sempre filogovernativa, che nel gioco politico-economico ha comunque sempre "pesato" - secondo il modello di Cuccia in Mediobanca -, assai di più delle copie vendute in edicola. Che hanno sfiorato prima di Tangentopoli il milione nelle edicole nell'era della direzione di Franco Di Bella.
Sul primo quotidiano italiano, sicuramente primo per l'autorevolezza delle sue firme - sempre ben custodite nelle sue varie e tormentate stagioni editoriali (da Benedetto Croce a Pier Paolo Pasolini, tanto per spiegare la pluralità di opinioni offerte ai lettori) -, si sono combattute battaglie feroci.
E si sono intrecciati pesanti interessi extraeditoriali. Basta ricordare la vicenda della P2 di Licio Gelli e del Banco Ambrosiano che costrinse gli eredi Rizzoli a portare i libri in tribunale e a mandare al rogo, per avidità o per insipienza manageriale, l'impero di carta (e non solo) costruito dall'ex martinitt Angelo Rizzoli senior.
Ma è davvero tutta colpa d'Internet, che finora non rende un solo euro alle aziende, la crisi dell'editoria di carta? O si tratta soltanto di un comodo alibi?
Una scusante affine al richiamo, ricorrente (e noioso), che il web tiene lontano il lettore giovane dalle edicole. Mentre basta sfogliare le inchieste demoscopiche tra gli anni Settanta e Novanta per verificare che non si tratta di un fenomeno, ahimè, nuovo.
Già prima dell'avvento dei new media, la fascia dei lettori, compresi nell'età tra i 15-24 anni, che sfogliava un quotidiano più di una volta la settimana era ben al disotto del 20%. E si dimentica, tra l'altro - come invece ha fatto Giulio Anselmi, un giornalista di razza passato per via Solferino e prestato agli editori (Fieg), che -, che ancora oggi il 90 per cento degli introiti che arrivano nelle casse delle aziende proviene dal prodotto di carta. E andrebbe anche tenuto conto che sono 24 milioni gli italiani che ogni giorno sfogliano un giornale contro i 2 milioni e mezzo che seguono le mediocri edizioni on line dei quotidiani (Audipress, 2010).
Allora, i conti (della crisi) non tornano né per i giornalisti né per gli editori. Ma se i Poteri marci possono scappare impunemente dalla "corazzata Corriere" non avendo più nulla "da scambiare", i redattori rischiano di affogare nella sala macchina se qualcuno non gli lancerà un salvagente. Ma chi?
GILBERTO BENETTON GetContent asp jpegAlla vigilia dell'assemblea di fine maggio che, di fatto, segnerà l'implosione del "patto di sindacato", nessuno sembra agitarsi più di tanto per le sorti del quotidiano milanese. E le ragioni vanno ricercate forse nella sfiducia dell'opinione pubblica nei confronti sia dei vecchi che nuovi media, indistintamente.
Oltre un secolo fa, il giornalista-editore Joseph Pulitzer, faceva osservare: "Una volta che il pubblico giunge a vedere la stampa come un'impresa esclusivamente commerciale, quest'ultima perde tutto il suo potere morale". Un collega così profetico meriterebbe un premio.