Antonio Polito per il Corriere della Sera
PADOAN E CALENDA
A ben guardare, non li attaccano perché sono «tecnici», ma perché sono rimasti tra i pochi a preoccuparsi del «vincolo esterno». Parliamo di Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, i due ministri più discussi del momento. Tecnici poi fino a un certo punto. Se con «tecnici» si intende esperti del ramo, non c' è dubbio che lo siano. Ma Padoan fa il ministro in governi politici da tre anni e mezzo (ormai è il secondo per longevità nella storia del Tesoro), e francamente quando era ministro di Renzi nessuno gli rinfacciava di essere «tecnico». Anzi. Ha fatto operazioni decise dalla politica, come il bonus di 80 euro, certamente non facili per le finanze pubbliche; ma è pure riuscito a non far saltare i conti.
MERKEL GENTILONI PADOAN
Calenda, poi, è stato addirittura candidato alle elezioni, nelle file di Scelta Civica, e in quanto politico, pur non eletto, nominato prima viceministro, poi ambasciatore a Bruxelles e infine ministro da Matteo Renzi. Tanto che all' ex premier che ora lo sospetta di flirtare col centrodestra, lui risponde: «Scelta Civica si presentò alle elezioni proprio contro il centrodestra di allora, figurati se io posso mai candidarmi con il centrodestra di oggi».
Il «vincolo esterno», dunque. Un po' per cultura, un po' per le loro frequentazioni europee, i due ministri avvertono i rischi che corre il nostro Paese. Padoan usa spesso la metafora del «sentiero stretto», ovviamente in salita, forse perché passa le vacanze in montagna. È convinto che «non ci sono scorciatoie per l' Italia»; se ne provi una, per esempio la ristrutturazione del debito di cui ogni tanto si favoleggia, rischi di precipitare, perché «c' è solo un modo sano di ridurre il debito».
RENZI VERDINI
Però ha imparato, da ministro, che esiste anche un «vincolo interno», e non solo quello rappresentato dalla normale dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione, ma anche quello del «fuoco amico». Ne ha sentito il fischio dei proiettili quando ha proposto di rimettere in moto la macchina delle privatizzazioni, passando dal Tesoro alla Cassa Depositi e Prestiti quote delle aziende partecipate, 0perazione che avrebbe potuto portare una decina di miliardi a riduzione del debito, ma ha trovato una forte resistenza: cosi si è deciso di soprassedere (anche se nel Def le privatizzazioni restano, seppure con un gettito previsto minore).
gentiloni merkel
E ha dovuto affrontare il «fuoco amico» per varare una manovrina che rispetta gli impegni con Bruxelles di riduzione del deficit dello 0,2%, muovendosi però dentro i paletti che gli ha messo il Pd. Ma non sa ancora «come va a finire» a ottobre, con la legge di bilancio. E neanche Gentiloni lo sa, che cosa la politica consentirà a quel punto.
Il fatto è che il lavoro di Padoan diventa ogni anno più difficile. Ha poche risorse, che andrebbero sparate tutte in un' unica direzione, quella giusta, e cioè la riduzione delle tasse sul lavoro per imprese e dipendenti. I testi di economia politica gli direbbero anche come finanziarla, per esempio spostando il peso fiscale sulle imposte indirette come l' Iva. «Ma ho capito in questi anni che una cosa è l' economia politica, e una cosa è la politica: bisogna tener presente l' impatto sulla popolarità delle misure che prendi. Il che è giusto, purché non si trasformi poi in ideologia, e cioè in pregiudizio».
PADOAN
Ma il «vincolo esterno» rimane. Anche se «l' allarme sul rischio Italia è decisamente eccessivo, all' Italia non si devono attribuire più colpe di quante ne abbia», è un fatto che c' è qualcuno in Europa che vorrebbe darci una lezione, e magari pensa alla «soluzione Lehman».
A queste forze non bisogna fornire alibi, ed è in definitiva il lavoro che Padoan sta facendo da qualche anno al Tesoro, ora con Gentiloni come prima con Renzi: evitare che il nostro paese finisca a «navigare nella globalizzazione senza salvagente», dove il salvagente è la moneta unica, e il naufragio sarebbe il progetto dei populisti nostrani di esporre il nostro mega debito alla sanzione dei mercati; soprattutto ora che i tassi hanno già ripreso a salire in previsione della fine, forse non imminente ma prima o poi inevitabile, del Quantitative easing di Draghi.
CARLO CALENDA A CAPALBIO - foto Enzo Russo
Il pericolo di «andare a sbattere» è anche l' ossessione di Calenda, e la vera causa della sua frizione con chi, come Renzi, è già lanciato in campagna elettorale. «Mi preoccupa il rischio di diventare l' anello debole dell' Europa. Se andiamo alle elezioni con tre poli più o meno populisti, e soprattutto se non ne venisse fuori una maggioranza stabile, proprio mentre l' Europa dopo il voto francese e tedesco si starà ricostruendo su basi nuove, a qualcuno possono venire in testa brutti pensieri». Tipo far fuori dai futuri assetti europei «un' Italia senza governo, con un alto debito, e porta d' ingresso dei migranti dal Mediterraneo».
Il punto è: abbiamo oggi una classe dirigente e una politica consapevole di questi rischi, e dunque concentrata sul come scongiurarli? La tensione tra i ministri tecnici e il partito perno del governo nasconde esattamente questo problema, ben più serio delle scaramucce quotidiane.