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    TOM WAITS BIASCICA ''BELLA CIAO'' COME INNO DELLA RESISTENZA AMERICANA A TRUMP E AI SOVRANISTI GLOBALI, E ALESSANDRO GIULI COGLIE L'OCCASIONE PER SMONTARE LA CANZONE: ''NON E' MAI STATA L'INNO DEI PARTIGIANI, CHE NONOSTANTE L'IMMAGINE COSTRUITA NEL DOPOGUERRA ERANO DIVISI E LITIGIOSI ESATTAMENTE COME OGGI SONO I DEMOCRATICI ITALIANI E AMERICANI, E SI SPARAVANO MOLTO TRA DI LORO…'' - VIDEO: LA CANZONE NELLA 'CASA DI PAPEL'


     
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    VIDEO - ''BELLA CIAO'' NELLA 'CASA DE PAPEL' DI NETFLIX

     

     

     

    VIDEO - TOM WAITS CANTA, O MEGLIO SBIASCICA, ''BELLA CIAO''

     

     

    VIDEO - ''BELLA CIAO'' CANTATA DA ARABI

     

     

     

    Alessandro Giuli per “Libero quotidiano

     

    Dopo sette anni di silenzio Tom Waits torna a incidere una canzone e la spara alta, romantica e partigiana: Bella Ciao, che a modo suo è anche l' inno del Partito democratico illanguidito dal sentimentalismo dei braccati e dilaniato dalle lotte intestine. La cover suonerebbe Hi beautiful nella lingua di Waits che è quella dell' America "liberatrice", libertaria e altermondista, ma lui ha deciso di utilizzare il testo originale e ne ha ricavato un cammeo di lusso per il nuovo disco dell' amico Marc Ribot, Songs of Resistance 1942-2018.

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    Dell' inno resistenziale più famoso al mondo tutto si può dire tranne che non sia suggestivo, traboccante com' è di orgogliosa emotività crepuscolare (forse di derivazione yiddish). Meno intonato appare invece il tentativo di costruire sull' ennesima rivisitazione aristica di Bella Ciao un manifesto unitario dei nuovi resistenti impegnati contro la barbarie sovranista, il populismo arrembante, insomma i nuovi e presunti nazi che da Trump a Orbàn (passando per Salvini) avrebbero riperticato la bandiera del totalitarismo novecentesco.

     

    AL CUOR NON SI COMANDA

     

    Balle, però diffuse con un' enfasi direttamente proporzionata alla mitologia della Resistenza invalsa per almeno mezzo secolo in Italia. E così, a pochi mesi dalla riproposizione di Bella Ciao in chiave banditesca offerta dalla serie Netflix La casa di carta, rieccoci a prendere le misure della perenne, nostalgica mozione degli affetti sinistri.

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    Perché al cuore non si comanda ma dalla memoria e dal raziocinio qualcosa è lecito attendersi: i partigiani sono esistiti eccome, questo è ovvio, ma qualunque storico degno di tal titolo ammette ormai che furono un fenomeno eterogeneo, minoritario, tardivo e sopra tutto litigiosissimo al proprio interno.

     

    E quando dico litigiosissimo sto usando un eufemismo per definire la ricca varietà di guerriglie intestine combattute durante la più grande guerra civile tra fascisti e antifà novecenteschi.

     

    Sin troppo nota è la vicenda della Brigata catto-socialista Osoppo che nel febbraio del 1945 fu decimata dai cugini sovietizzanti dei Gap (fra le vittime, il fratello di Pier Paolo Pasolini). E abbastanza conclamata è anche la spocchia micidiale che i partigiani rossi delle Langhe riservavano agli intellettuali di Giustizia e libertà, ai quali rubavano i fucili perché a loro le armi le davano gli americani, anche se non sapevano bene che cosa farsene. Vogliamo dirla, anzi, ripeterla tutta?

     

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    Sparare sparavano, i partigiani - «ci sparano alle spalle per le strade, ché di venirci avanti hanno paura», cantavano le Brigate nere - ma s' impallinavano molto più spesso fra loro. Praticamente un ritratto del Nazareno, la sede dimessa in cui il Partito democratico sta mettendo in scena il proprio sommario di decomposizione fratricida.

     

    E allora, se proprio si deve giocare con le figure retoriche, adottando la vecchia partigianeria canora contro la neofascisteria immaginaria dei giorni nostri, sarà bene farne la metafora del partito più partigiano che l' Italia abbia mai visto. Il Pd è l' erede naturale degli affluenti cattolico-popolari e comunisti internazionalisti che hanno contribuito alla ribellione armata, e che in attesa di un problem solver forestiero (le truppe statunitensi!) si sono scannati per guadagnarsi medaglie all' onore in vista della successione al potere.

     

    LA CASA DE PAPEL LA CASA DE PAPEL

    L' ELETTORATO POPULISTA

    Nella sua sopraggiunta fungibilità universale, nella sua quotidiana metamorfosi a uso e consumo delle orecchie di massa, Bella Ciao può valere come la litania di un sussulto contemporaneo contro la forza della realtà - e ho trovato l' invasor, ovvero l' elettorato populista - e al tempo stesso come la colonna sonora che idealmente accompagna la ripetizione dell' identico impulso ad accoltellarsi tra fratelli.

     

    LA CASA DE PAPEL LA CASA DE PAPEL

    Come in un remake del film di Spike Lee Miracolo a Sant' Anna, nel quale americani e tedeschi si sparano coscienziosamente addosso e nel frattempo i resistenti si bersagliano in famiglia. Con Matteo Renzi nel ruolo del partigiano bianco che sgomina i comunisti; i sopravvissuti dell' antica ditta che si riprendono il partito con Maurizio Martina; i liberali anglofoni in cerca del papa straniero (Calenda?); gli intellettuali, i pochi rimasti, mai sazi di contrasti e contumelie.

     

    E infine il migliorista della banda, il togliattiano Matteo Orfini, a giochi finiti (sempre grazie agli americani) sequestra le armi ai contendenti e proclama lo scioglimento delle tempestose brigate: Belli ciao.

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