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    TONI SERVILLO FA TRIS A VENEZIA - DOPO “ARIAFERMA” DI COSTANZO ED “È STATA LA MANO DI DIO” DI SORRENTINO, È IL PROTAGONISTA DI "QUI RIDO IO" DI MARTONE: “SCARPETTA ERA UN ANIMALE PREDATORE CHE DIVORAVA TEATRO, DONNE CITTA', TESTI" - "INTERPRETARE IL PADRE DI SORRENTINO? NON LO AVREI MAI IMMAGINATO. QUANDO VENT’ANNI FA GLI CHIESI CHI ERANO SASÀ E TINA A CUI AVEVA DEDICATO “L’ UOMO IN PIÙ” MI RACCONTÒ…” - VIDEO


     
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    Gloria Satta per “il Messaggero”

     

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    Si commmuove, Toni Servillo, alla terza razione di applausi dopo aver presentato alla Mostra È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino in cui fa il padre del regista e Ariaferma di Leonardo Di Costanzo che gli ha affidato il ruolo di una guardia carceraria. «Credevo di rimanere impassibile, e invece...». Nei panni di Edoardo Scarpetta in Qui rido io di Mario Martone, Toni, 62 anni, regala al pubblico un'altra interpretazione destinata a lasciare il segno.

     

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    Chi era Scarpetta?

    «Un capotribù al di sopra della morale corrente, un innovatore della recitazione, un animale predatore che divora il teatro, le donne, le città, i testi. Per lui, che scappa continuamente dalla camera da letto al palcoscenico, arte e vita sono un tutt' uno. È un grande attore che praticando il proprio mestiere celebra la vita».

     

    È stato un punto di riferimento nel suo lavoro?

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    «Per me Scarpetta è il padre di Eduardo e un gigante che ha svincolato il teatro napoletano dalla tradizione della commedia dell'arte imponendo agli attori di rispettare i testi e imparare la parte a memoria. Ma i miei riferimenti sono stati Leo De Berardinis, Eduardo, Louis Jouvet».

     

    Tre film a Venezia: che effetto le fa?

    «Si tratta di un caso e io sono pieno di riconoscenza. I tre film sono diversi tra loro ma fatti tutti con grande generosità per il pubblico che da parte sua sta dimostrando entuasiasmo. Per noi artisti la risposta della gente è fondamentale. Il film di Martone, in particolare, regala quel buonumore di cui oggi abbiamo tanto bisogno».

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    Non è la sua prima volta alla Mostra, che ricordi ha?

    «Sono passati quasi trent' anni da quando accompagnai al Lido l'opera prima di Martone Morte di un matematico napoletano. E venti dal mio sbarco con L'uomo in più, il debutto di Sorrentino. È commovente constatare che Napoli non ha ancora smesso di essere un contenitore di storie e personaggi da raccontare sullo schermo».

     

    Qui al Lido i film italiani si stanno facendo onore: da cosa dipende secondo lei l'attuale stato di grazia del nostro cinema?

    «A dire la verità, il motivo non lo conosco ma il successo del cinema italiano rappresenta un sollievo dopo la sofferenza della pandemia. I miei film veneziani hanno per protagonisti dei sentimenti diversi: Qui rido io celebra la voglia di stare insieme, Ariaferma la compassione, È stata la mano di Dio ci dice che anche nel dolore puà esserci tenerezza».

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    Cosa ha provato nei panni del padre di Sorrentino?

    «Quando vent' anni fa chiesi a Paolo chi fossero Sasà e Tina a cui aveva decicato L'uomo in più, mi rispose che erano i genitori morti quando lui aveva 16 anni a causa delle esalazioni di gas. Mai avrei immaginato che un giorno avrei interpretato suo padre... Nel film, dopo la tragedia, il giovane protagonista immagina il suo futuro nel cinema. Sono felice, commosso di aver fatto parte di quel futuro».

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    Accompagnerà il regista in giro per il mondo a promuovere E' stata la mano di Dio dopo che al festival di Telluride i critici americani hanno pronosticato il secondo Oscar?

    «Non posso: lunedi comincio il film di Gabriele Salvatores Il ritorno di Casanova in cui ho il ruolo di un regista che deve mettere in scena il racconto di Arthur Schnitzler». Cosa le ha lasciato la pandemia? «Una grande sofferenza perché il teatro ha dovuto fermarsi».

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