Luis Cortona per il Messaggero.it
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C’è la storia dell'Italia racchiusa in 3 milioni di scatti. E c'è la storia di un uomo, in quei 3 milioni di immagini: Carlo Riccardi, che con le sue macchine fotografiche ha mostrato i volti, le biografie, le curiosità, i dettagli anche nascosti di quasi 70 anni del bel paese. Via Crescenzio, quartiere Prati, unisce piazza del Risorgimento e piazza Cavour.
Non è un caso che si trovi proprio qui l’archivio Riccardi, nato intorno al lavoro di uno dei fotografi più importanti del Novecento italiano. Ci sono i grandi personaggi, i Papi, i Presidenti, i divi della Dolce vita, ma anche tante persone comuni, quelle che hanno rafforzato l’ossatura di un paese che si andava ricostruendo.
Ci sono i soldati americani, quelli a cui Carlo vendeva le foto, facendo concorrenza al vignettista Federico Fellini.
CARLO RICCARDI
Il rapporto con il regista riminese sarà una delle fortune di Carlo. Amico di Ennio Flaiano, a lui si rivolse chiedendo lumi su un nomignolo che gli aveva affibbiato Amintore Fanfani: pappatacio, paparaccio, una cosa del genere. «Sì, tu sei come un animale fastidioso, sei sempre lì a punzecchiare». Da lì a paparazzo, termine ispirato a un libro di George Gessing, il passo fu breve.
Carlo Riccardi è il primo paparazzo della storia, quello che diede l’ispirazione al personaggio della Dolce Vita. Un’icona che poi nel tempo si è sfumata, contornandosi di dettagli diversi, allontanandosi dalla semplice cronaca e arrivando a una dimensione più autoriale, mitologica. Migliaia, milioni di scatti che il figlio Maurizio, fotografo pluripremiato anche lui, ha deciso di conservare e condividere con il mondo.
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Alle pareti ce ne sono alcune: Totò, Fellini, una giovanissima Emma Bonino in piazza San Pietro a manifestare per il divorzio, Raffaella Carrà appena diciottenne e bellissima: la storia di un paese in tutte le sue sfaccettature, quella seria e “istituzionale” e anche quella popolare, fatta di volti noti della televisione, di attori del cinema come Alberto Sordi e di grandi eroi sportivi, come Gino Bartali.
Li ha conosciuti tutti Carlo Riccardi, di ognuno conservando un ricordo, una storia, ma soprattutto una foto. Tutto catalogato in un database manuale, che lo stesso Carlo Riccardi teneva. Ogni cassetto racchiude negativi di un mestiere che - di fatto - non c’è più. «Carlo ha iniziato facendo fotografie ai soldati americani, che colorava con le aniline.
Il nostro archivio - spiega Giovanni Currado, fotografo dell’Agrpress - ha un salto temporale dal ‘45 al ‘52, anno dal quale parte ufficialmente la catalogazione. È difficile selezionare storie, aneddoti o negativi in particolare».
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Tre milioni di scatti, che ancora vivono grazie ad un accurato lavoro di studio, ricerca e restauro digitale. «Lavoriamo per condividere la nostra fortuna: essere ogni giorno a contatto con un pezzo importante di storia.
Scavando nell’archivio troviamo negativi, foto, che poi scannerizziamo e “ripuliamo”, utilizzandole per mostre o pubblicazioni». Un lavoro che corre parallelo all’attività dell’agenzia, che va avanti nonostante le difficoltà di ritagliarsi uno spazio, in un mondo in cui ognuno si sente fotografo, con il proprio smartphone.
«Si è perso il rispetto per la professione, quel rispetto che c’era ai tempi di mio padre - racconta Maurizio Riccardi - allora lui aveva costruito un rapporto con le persone, persino con i divi. Era tutto molto più facile». Maurizio è il figlio di Carlo, «sono nato in camera oscura», e da sempre scatta fotografie. Suo è lo scatto “dei due Papi”, che mostra Karol Woityla con Giovanni Paolo I.
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Da allora inizia a vincere premi e a lavorare con il padre, che oggi ha 91 anni e si dedica principalmente alla pittura: «Ho deciso di mantenere l’archivio, anche se dal punto di vista economico sarebbe stato meglio vendere tutto», racconta di fronte a una vetrina con la collezione di macchine fotografiche del padre.
Rolleiflex, Leica, Nikon, ma anche tutti i telefonini che sono passati per le mani della famiglia Riccardi e dei collaboratori: «Tanti fotografi hanno lavorato con noi e loro sono stati il valore aggiunto della nostra agenzia».
I tempi oggi sono cambiati, tutti pensano di fare i fotografi, in fondo basta uno smartphone, e si è perso il valore, il rispetto di una professione che si è modificata nel profondo: parliamo sempre dei fotografi stranieri, americani, francesi, ma mai di quelli italiani, eppure abbiamo un patrimonio immenso.
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L’Italia, e persino Roma, sono cambiate, come le celebrità, che oggi si chiamano vip e durano solo qualche giorno. Non come quelle ritratte da Carlo Riccardi, che invece si stagliano ancora in quelle pareti, riconoscibili, perché parte di una storia condivisa che ancora oggi continua e procede, grazie allo sforzo di un figlio e di una squadra di fotografi tenaci che la fa ancora vivere.
La storia d'Italia che si intreccia con quella di una famiglia. A unirli, oltre alla carriera, ci ha pensato il marchio Nikon, che nel libro sui suoi cento anni li ha messi entrambi, a poche pagine di distanza. Uniti nella passione e nella professione, oltre che nella vita: uniti da circa 3 milioni di negativi.
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