Francesco Bonami per “la Stampa”
mona lisa louvre
Il sito online Artnet News ha pubblicato la classifica dei venticinque musei più instagrammati al mondo. Non sorprende che primo sia il Louvre, seguito a ruota dai prevedibili sospetti, il Metropolitan e il Moma di New York, poi il Lacma di Los Angeles, il British Museum etc. etc.
Quello che però balza all' occhio è l' assenza quasi totale, se si escludono i Musei Vaticani al diciottesimo posto, dei musei italiani. Non ci sono gli Uffizi, le Gallerie dell' Accademia di Firenze, dove vive il David di Michelangelo, l' opera d' arte più famosa al mondo, la Pinacoteca di Brera, le Gallerie dell' Accademia di Venezia e via di seguito. C'è però il Pinto Art Museum ad Antipolo City nelle Filippine al numero 23.
google cultural institute viaggio nel moma di new york
La cosa è sorprendente e deve farci riflettere. Perché il pubblico non sente la necessità di far partecipare alla memoria collettiva del mondo la propria esperienza nei musei del nostro Paese stracolmi di capolavori assoluti? Si possono fare due ipotesi. Una ottimista e positiva. I nostri musei incutono ancora una certa reverenza.
Da noi l'arte esige rispetto. Come non si parla in chiesa così non si instagramma davanti ad un Paolo Uccello. Insomma il visitatore si affida ancora alla propria memoria, non a quella del suo cellulare. La seconda ipotesi è invece pessimista e negativa. Nei musei italiani l' esperienza dello spettatore è talmente complicata, pensiamo alle file per entrare agli Uffizi, che ci si dimentica persino di twittarla o facebookarla.
UFFIZI 3
Questa seconda ipotesi porterebbe alla conclusione che l'automatismo di postare su Instagram un'immagine è legata alla quantità di piacere che riceviamo guardandola.
L'idea che Instagram rifletta il piacere e la qualità di un esperienza culturale elevata farà certamente inorridire il talebano storico dell'arte Tommaso Montanari per il quale l'esperienza artistica mediata dal cellulare o da nuove tecnologie immagino sia da considerare blasfema. Un tempo c' era l'Iconoclasta oggi il Tecnoclasta, colui che vede in certa tecnologia una forma d'idolatria da estirpare.
MOMA NEW YORK
Atteggiamento per certi aspetti condivisibile, ma che tuttavia non spiega perché certi musei attraggano più di altri l'attenzione e l' emozione dello spettatore che poi sente il bisogno di comunicarla al proprio mondo.
I direttori dei musei italiani dovrebbero provare a capire, facendo delle ricerche e dei sondaggi, come mai i loro utenti non desiderino mettere in rete il loro cuoricino dopo aver visto la «Cena di Emmaus» di Caravaggio a Brera a Milano, «La nascita di Venere» o «La Primavera» di Botticelli degli Uffizi a Firenze, il David di Bernini alla Galleria Borghese a Roma e cosi via. Al di là di ogni polemica è importante comprendere il rapporto fra l' offerta culturale e la sua fruizione anche attraverso gli strumenti che le nuove tecnologie tramite i famigerati social ci offrono.
UFFIZI 2
È importante comprendere il perché in certi musei del mondo gli spettatori trovino più stimoli che in altri da raccontare alla comunità di cui si sentono di appartenere. Considerare irrilevanti le informazioni e le statistiche che ci arrivano da siti specializzati sull' arte vuol dire ignorare le trasformazioni antropologiche della nostra società che riflettono anche il modo di apprezzare, capire e godere un patrimonio artistico. Ignorare l' ignoranza rischia di trascinarci in una irreversibile irrilevanza.