Stefano Semeraro per “la Stampa”
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Il tennis italiano ormai è un condominio di lusso, affollato di storie. Segui nell' attico i due enfant prodige Sinner e Musetti e rischi di perderti il campione della porta accanto, Lorenzo Sonego, che in giardino ti ristruttura la classifica - da oggi è numero 28 Atp, quattro fra i primi 30 non li piazzavamo dal luglio del '77 - e lo fa senza menarsela troppo, da bravo torinese schiscio, che bada al suo. «Ma con la grinta del guerriero», aggiunge il suo coach e secondo papà Gipo Arbino.
A Cagliari Sonny, 26 anni fra un mese, si è preso il secondo titolo della carriera dopo quello sull' erba di Antalya nel 2019 (più la finale di Vienna indoor dello scorso anno: tre finali, tre superfici). Tre match da inferno, alla Sonego, sangue sudore e lacrime, la finale contro il rognosissimo serbo Djere che dopo il 6-2 del primo set sembrava un Everest. Ma Lore non si scompone, non troppo, perché il tennis, per lui che abita nel quartiere Santa Rita, media borghesia sabauda; che ad allenarsi allo Stampa Sporting ci va a piedi, dando un' occhiata all' Olimpico e il doppio in Sardegna lo ha vinto con il compagno di circolo Andrea Vavassori, è una cosa in fondo normale; da amare comunque.
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«Che tutti parlino di Musetti e Sinner non mi dà fastidio», dice allegro da dietro la mascherina del Toro. «Sono giovani, esplosi all' improvviso, è normale. Poi io non sto attaccato ai media, ai social e ai contratti ci pensa il mio manager. Gioco a tennis perché mi piace. Per fare emozionare la gente e condividere le gioie con quelli che mi vogliono bene».
Col tennis Lorenzo ha iniziato tardi, a 11 anni, fino a 13 si divideva con il calcio, sponda granata. Quattro anni fa era ancora lì a lottare nei Challenger con accanto solo Gipo il saggio, apprendista e maestro, come nelle botteghe rinascimentali.
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Poi il "Polpo" - come lo chiamano fin da piccolo perché senza avere un fisico da fenomeno e colpi da predestinato in campo si incolla ad ogni palla - ha iniziato a salire in superficie. A cercarsi prede più grosse.
Insieme con un team-famiglia cresciuto strada facendo, come la compagnia dell' anello: il consigliori tecnico Umberto Rianna, il preparatore itinerante Damiano Fiorucci, quello stanziale Fabio Nervi, il videoanalista Danilo Pizzorno, il fisio Marcello Marini, il mental coach Lorenzo Beltrame e il manager Corrado Tschabuschnig; più la fidanzata Alice, che studia da nutrizionista. «Io mi fido ciecamente di loro», dice il Polpo. «Nella carriera non mi sono mai messo obiettivi, se non migliorare e divertirmi, ma adesso un sogno ce l' ho: giocare le Atp Finals a Torino, nella mia città». Nella Race to Turin è 16esimo, entrano i primi 8, siamo ad aprile.
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«Chiaro, bisogna fare un salto. Devo rendere più continuo il servizio, irrobustirmi fisicamente. Ma sono contento dei progressi con il rovescio e la risposta, i miei punti deboli». Il viaggio è il traguardo, e da oggi tocca a Montecarlo. Ma stavolta alla fine del viaggio c' è un premio chiamato casa.
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