Elisabetta Rosaspina per il “Corriere della Sera”
SYLVIA E HELEN PASTOR
Quello che si apre fra trenta giorni esatti a Aix-en-Provence non è un processo: è un affare di Stato. Anzi, di Principato. Tutta Monte Carlo aspetta di sapere se è stato lui, l' ex console onorario polacco Wojciech Janowski, 69 anni, a ordinare l' assassinio della donna più ricca di Monaco, Hélène Pastor, o se un innocente è in carcere da quattro anni.
Tutto congiura contro l' imputato, quasi genero della vittima: a suo carico, ci sono una montagna di indizi e deduzioni e, soprattutto, le chiamate di correo dell' intermediario che, per 140 mila euro, avrebbe reclutato i sicari a Marsiglia.
Manca la prova regina. Manca la confessione. O meglio, c'era stata; ma Janowski ha poi ritrattato, attribuendo il malinteso alla sua scarsa padronanza del francese. Strano, per qualcuno che vive sulla Costa Azzurra da più di trent' anni, accanto alla figlia di Hélène Pastor, Sylvia, che non ha mai preso posizione ufficialmente a favore o contro di lui. Ma sono proprio le stranezze a fare di questo caso il giallo più intrigante mai ambientato a Monaco, dopo «Caccia al ladro» di Alfred Hitchcock naturalmente.
OMICIDIO DI HELENE PASTOR
Janowski è in Polonia in viaggio d' affari, quando la sera del 6 maggio 2014, all' uscita dell' ospedale L' Archet di Nizza, dove il figlio di Hélène, Gildo, è ricoverato dopo un infarto, la miliardaria 77enne finisce sotto il fuoco di un paio di killer appostati nel parcheggio. Inizialmente si pensava che l' obiettivo fosse il suo autista, Mohamed Darvish, deceduto quattro giorni dopo. Invece Hélène, ferita gravemente ma ancora viva, non pare tanto sorpresa dell' agguato: «Ho qualcosa da dirvi» sussurra agli investigatori, prima che le sue condizioni peggiorino irreversibilmente. Tacerà per sempre due settimane più tardi.
Wojciech Janowski
Sono le vistose tracce lasciate dagli assassini a guidare gli investigatori fino alla svolta inaspettata. E al genero della vittima. Gli esecutori sono stati reclutati nei bassifondi dei quartieri nord di Marsiglia, ma non sono professionisti: hanno lasciato tracce di Dna nella doccia dell' hotel di Nizza in cui alloggiavano nell' attesa di passare all' azione, hanno mantenuto gli abiti con i quali sono stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza del parcheggio dell' ospedale, sono tornati a Marsiglia in taxi e nemmeno hanno pensato a sbarazzarsi delle schede dei telefonini. Catturati loro, non è difficile risalire a chi li ha ingaggiati: Pascal Dauriac. Sorpresa: è il coach sportivo di Sylvia e Wojciech Janowski.
HELEN PASTOR
Gli inquirenti mettono presto fuori causa la figlia di Hélène, mentre i fari si accendono su questo enigmatico businessman venuto dall' Est, un ex croupier di Varsavia che trent' anni prima aveva conquistato il cuore del miglior partito del Principato, l'erede neo divorziata di un casato forse più ricco degli stessi Grimaldi.
I Pastor sono una dinastia di immobiliaristi generata da uno scalpellino ligure, Giovanni Battista, partito per la Francia in cerca di fortuna nel 1880. Il nonno e il padre di Hélène, Gildo, sono diventati i più grandi costruttori edili di Monte Carlo e la famiglia possiede tuttora cinquemila dei ventimila appartamenti censiti nel territorio, con un patrimonio stimato attorno ai 20 miliardi di euro.
Il colpo di fulmine di Sylvia per Janowski non ha entusiasmato il suo entourage, nel 1986, e tantomeno sua madre, che pure versava alla coppia 500 mila euro mensili. Forse il patto tacito era che l' unione non fosse mai formalizzata, nonostante la nascita di una figlia. Al quasi genero non serviva una fede al dito per introdursi nei migliori ambienti del Principato, ottenere nel 2007 la carica di console onorario, darsi ad attività benefiche, con il patrocinio di Charlène, la moglie del principe Alberto, e una medaglia dall' allora presidente francese Nicolas Sarkozy.
Wojciech Janowski
Ma quando l' inchiesta si sposta sui suoi affari all' estero vengono a galla soltanto scatole vuote e progetti strampalati come l' acquisto di una raffineria a Gorlice, in Polonia, con debiti per vari milioni di euro. Inconfessabili all' insofferente matriarca.
Per l' accusa dunque il movente è finanziario, mentre per la difesa Janowski non era un erede diretto e non nutriva alcun odio per la mancata suocera. In un' intervista a Nice-Matin sostiene di essersi preso la colpa per proteggere Sylvia, malata di tumore: «La polizia minacciava di arrestare lei, se io non avessi confessato». Ma nei giorni precedenti l' omicidio è lui ad aver prelevato somme equivalenti ai compensi dei killer e degli intermediari. Alla sbarra il 17 settembre, davanti alla Corte d' Assise di Aix, con nove coimputati, Janowski stavolta si giocherà tutto.