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    VIVA, VIVA LA TRATTATIVA – MANCINO SI METTE IN SCIA A RE GIORGIO: “LA MAFIA CI RICATTAVA, MA NOI NON TRATTAMMO. SE CREDETE A NAPOLITANO DOVETE CREDERE ANCHE A ME”


     
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    Salvo Palazzolo per “la Repubblica”

     

    Nicola Mancino ha appena finito di leggere il verbale con la deposizione del presidente della Repubblica. Dice: «Se Napolitano non ha saputo niente della trattativa, se non ne hanno saputo niente i presidenti Ciampi e Scalfaro, perché avrei dovuto conoscerla io che non avevo alcuna competenza funzionale sulla questione del carcere duro?».

    Nicola Mancino Nicola Mancino

     

    Alle nove del mattino, l’ex ministro dell’Interno disquisisce al telefono sul suo processo: «La ricostruzione di Napolitano su quella stagione del 1992-1993 è molto interessante — dice all’inizio del colloquio con Repubblica — però francamente mi sorprende il clamore attorno alle sue parole, perché certe cose sul ricatto che la mafia voleva fare allo Stato le ho già dette io ai giudici di Palermo». Fa una pausa e riprende: «Queste parole non sono l’esordio di un’intervista, per adesso voglio solo ragionare su quanto sta accadendo attorno al mio caso e al processo di Palermo».

     

    Ricordo il giorno in cui lei depositò in udienza una corposa rassegna stampa con le sue dichiarazioni. Fa riferimento a quelle parole a proposito del ricatto mafioso?

    NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg

    «Era la rassegna stampa del secondo semestre 1993 e del 1994. Vada a rivedere quello che dissi a Firenze, all’indomani della strage di via dei Georgofili. Era il 27 maggio 1993, dunque due mesi prima delle bombe di Roma e Milano citate da Napolitano. Mi trovavo a presiedere un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Appena uscito, i giornalisti mi assalirono di domande. E io parlai senza mezzi termini di terrorismo mafioso, dissi che la bomba di Firenze era chiaramente di origini mafiose».

     

    Cita questo episodio per dirmi che già due mesi prima degli attentati di Roma e Milano, quelli citati da Napolitano come segnale del «ricatto mafioso allo Stato», lei aveva già compreso la posta in gioco?

    «È scritto nella rassegna stampa che ho consegnato al giudice delle indagini preliminari Morosini, molti mesi fa. Ma nelle cronache giornalistiche su quanto accade dentro l’aula bunker di Palermo non trovo equilibrio, anzi certe mie argomentazioni sono proprio ignorate dalla stampa. Lo ripeto: io non ho saputo mai nulla di una trattativa fra mafia e Stato. Così come non sanno nulla Napolitano, Ciampi e Scalfaro. E sono sicuro che anche Spadolini avrebbe detto la stessa cosa se fosse stato ascoltato dai magistrati prima di morire».

     

    Come ricorda la notte delle bombe di Roma e Milano — 28 luglio 1993 — la notte del black out al centralino del Viminale? Nella sua audizione, Giorgio Napolitano ha rievocato, dopo una domanda del pm Nino Di Matteo, le parole del presidente del consiglio Ciampi, che arrivò a ipotizzare un colpo di Stato.

    NICOLA MANCINO E MOGLIE resize NICOLA MANCINO E MOGLIE resize

    «Dopo l’esplosione riuscì a parlare con Ciampi, ma poi le comunicazioni si interruppero. All’epoca abitavo in corso Rinascimento, abbastanza vicino a Palazzo Chigi. E allora andai a piedi fino alla presidenza del consiglio. Ricordo che feci chiamare il capo della polizia Vincenzo Parisi, per convocare al più presto il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Bisognava avviare subito degli accertamenti, per capire cosa fosse accaduto».

     

    Aveste il sospetto che qualcuno all’interno delle istituzioni stesse tramando?

    «Fu una notte terribile per le bombe che avevano dilaniato il paese. Ma non avemmo alcun sospetto di infedeltà all’interno delle istituzioni, tanto che per quelle nostre verifiche così delicate ci affidammo senza alcuna riserva alle forze che avevamo a disposizione, nell’ambito delle polizie e degli apparati di sicurezza».

     

    Napolitano è tornato a ricordare le telefonate che lei fece al consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, due anni fa. Ha dichiarato che D’Ambrosio si sentiva assillato.

    MANCINO NICOLA MANCINO NICOLA

    «Ho già spiegato in aula qual era il clima di quei giorni. Il problema che mi spingeva a telefonare a D’Ambrosio era la mancanza di coordinamento fra le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze sul tema della trattativa. Io solo quello volevo, il coordinamento. Non chiedevo alcuna avocazione dell’indagine di Palermo. E, in realtà, in quelle conversazioni più che chiedere, ascoltavo».

     

    Ma il presidente utilizza un’espressione pesante: «D’Ambrosio si sentiva assillato ».

    «Guardi, anche io sono stato destinatario di una pesante campagna di stampa, proprio come D’Ambrosio. Detto questo, telefonavo perché pure io ero esasperato, per la mancanza di coordinamento. Ho un doloroso ricordo di quei giorni».

     

    NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

    Mancino si prepara alla sua audizione davanti ai giudici di Palermo, anche se ci vorrà ancora qualche mese. Già in un precedente colloquio ci aveva spiegato che alla corte riferirà «altre circostanze che risulteranno decisive ». Ora dice: «Nella mia lunga carriera non sono mai stato sospinto dagli eventi, il mio impegno contro la mafia è stato meticoloso».

     

     

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