Estratto dell’articolo di Fabio Pozzo per la Stampa
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«C'è una legge del mare che obbliga a soccorrere una persona in difficoltà. È una norma, ma anche una legge morale, culturale, che risale ai romani e che è dentro di noi». A parlare è un marinaio, prima ancora che simbolo della vela oceanica italiana. Giovanni Soldini davanti alla strage di migranti di Cutro parla la lingua dell'uomo, del padre di famiglia e, appunto, del mare.
Diceva che ci sono leggi… «C'è una convenzione internazionale dell'Onu. Ma ci sono leggi in questo senso che arrivano a noi fin dall'epoca dei romani. E che ti obbligano a salvare chi è in difficoltà, anche se è un tuo nemico. C'è stato un comandante italiano che durante la Seconda guerra mondiale...»
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Sì, Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini. Affonda il cargo belga Kabalo e salva 26 naufraghi.
«Esatto. Io mi metto nei panni anche di chi lavora nella Guardia costiera: sono sicuro che sarebbero stati lì, se fosse stato per loro. Ci metto le mani sul fuoco. Ma sono ingabbiati in una regola totalmente nuova, che è venuta fuori dal nulla. E che non coinvolge solo l'Italia, purtroppo, ma anche altri Paesi che dovrebbero essere sviluppati, dunque essere i fari della cultura, e che hanno smesso in esserlo... Non è così che si risolvono i problemi, un Paese civile non lascia fare al mare il suo mestiere, non lascia morire la gente».
Si arriva al caso di Cutro?
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«Evidentemente c'è una volontà politica per cui queste cose succedono. Vuoi che non ci siano i mezzi per monitorare una barca che si avvicina alle coste italiane e per andare a prendere coloro che sono a bordo e salvare loro la vita? Non ci credo. Non ce le raccontiamo. È che quei mezzi non vogliamo impiegarli».
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Come vive queste tragedie?
«Mi vergogno per il modo con cui mio Paese pensa di affrontare il problema. Noi europei siamo fortunati e dovremmo applicare politiche più intelligenti per affrontare la questione dell'immigrazione. I flussi migratori ci sono sempre stati e ci saranno sempre più. Solo per il riscaldamento del pianeta, al netto di guerre, rivoluzioni. Se tu fai fatica a sopravvivere a casa tua a un certo punto ti sposti e sei pronto ad assumerti qualsiasi rischio, anche se ti sparano in faccia.
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Ecco perché dico che è una questione che va affrontata con un'attitudine diversa. Non così, in un modo barbaro che non risolve nulla».
Ha il sospetto che non si voglia prendere il mare per salvare i migranti?
«Ho la certezza. È un'attitudine che negli anni è cambiata completamente. Ricordo che 10-15 anni fa c'erano navi militari che salvavano i naufraghi. È un dato di fatto, non è una mia sensazione. Bisognerebbe avere una missione navale europea perenne nel Mediterraneo. Sì, per difendere i confini, per arrestare gli scafisti, ma soprattutto per impedire alle persone di morire in mare. C'era, in passato. Adesso addirittura facciamo guerra alle Ong che con mezzi scalcagnati cercano di soccorrere i naufraghi».
La sento molto sensibile su questo tema.
«Lo sono, siamo sulla strada sbagliata. O meglio, se vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo peggiore questa è la strada maestra».
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