al serraj haftar giuseppe conte
Marco Ventura per “il Messaggero”
Una fitta rete di scambi diplomatici, in chiaro e sottotraccia. L'Italia sta sviluppando in queste ore contatti riservati da un lato soprattutto in una triangolazione complessa con i contendenti principali, Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar, forte anche dell'ambasciata aperta a Tripoli e di forme di interlocuzione coltivate nei mesi scorsi a Bengasi. Dall'altro, si rivolge in particolare a Francia e Stati Uniti.
KHALIFA HAFTAR
La sostanziale diffidenza verso Parigi nasce dall'appoggio offerto al Generale Haftar a dispetto dell' ufficialità e legittimità internazionale della premiership di Serraj a Tripoli. Tuttavia, la diplomazia francese appare spiazzata dal colpo di mano del Generale e ieri anche Macron è intervenuto telefonando a Haftar e reclamando la fine immediata delle ostilità. Almeno pubblicamente.
GLI AMERICANI
Quanto agli americani, l'oscillazione della politica africana di Trump nasce dalla convinzione che il Nord Africa, la Libia e perfino l'Europa siano assai meno strategici per gli Stati Uniti del dossier cinese e asiatico. Il premier Conte si limita a contestare «la svolta in direzione di un conflitto militare, armato», che avrebbe il significato di «una guerra civile ed esporrebbe la popolazione a gravi danni, perché non è tanto il problema degli interessi di italiani e francesi, è che non ce lo possiamo permettere».
giuseppe conte incontra fayez al serraj 3
Ma chi ha di più da perdere, oggi, tra francesi e italiani? La proverbiale prudenza italica alla fine potrebbe giovarci, mentre quella di sostegno politico-militare a Haftar da parte di Francia, Arabia Saudita e Emirati rischia di trasformarsi in un boomerang.
LA SCOMMESSA
Se infatti l'Italia ha scommesso sul cavallo debole, al-Serraj (che ieri ha avuto una lunga telefonata con Conte, il quale gli ha ribadito la necessità di desistere dall'opzione militare e tornare al dialogo), un premier che a malapena controlla la capitale e a fatica si mantiene in sella, la Francia ha commesso l'errore opposto, di affidarsi a una figura debordante, un leader e capo militare che vorrebbe dilagare oltre i confini storici della sua regione di provenienza, la Cirenaica, e conquistare tutto il Paese da Bengasi al Fezzan alla Tripolitania.
KHALIFA HAFTAR
Mettendosi però contro gli organismi multilaterali che stanno lavorando per un percorso condiviso e l'obiettivo di svolgere, otto anni dopo la defenestrazione e il linciaggio di Gheddafi, libere elezioni come tappa cruciale della cosiddetta transizione democratica. L'Italia ci crede ancora, e punta a preservare una qualche stabilità e sicurezza, eppure dietro l'angolo c'è ormai la prospettiva di un precipitare della situazione in una nuova guerra, civile o latente.
giuseppe conte incontra fayez al serraj 1
Haftar puntava al blitz, a insediarsi a Tripoli con la condiscendenza di milizie e tribù affini ai suoi reparti migliori (salafiti della corrente Madkhala di derivazione saudita) o prezzolati dall'alleanza pro-Bengasi. Se l'azzardo non gli riuscirà, non avrà più carte da giocare al tavolo della politica. E né la Francia né Abu Dhabi o Riyadh potranno apertamente schierarsi con lui.
LA RETE
L'Italia può contare sull' ambasciata, su una rete efficace di Intelligence, su centinaia di uomini della missione Ippocrate e nel porto di Tripoli, e per quanto abbia detto e ribadito che in nessun caso interverrà militarmente (parole che suonano arrendevoli alle orecchie dei nostri amici in Libia), potrebbe alla fine ritrovarsi dalla parte fortunata del panno verde.
KHALIFA HAFTAR
Il punto è che dovrebbe fare di più, magari con dichiarazioni più muscolari che rassicurino le milizie a difesa della capitale. I libici leggono tutti i segnali e pretendono dai loro sponsor forme di protezione più coraggiose. Pena il ritorno al caos e alla violenza. E, naturalmente, la ripresa delle traversate della morte dalla Libia verso le nostre coste.