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    TROPPO GIUSTO! "IL PANINARO" ORA FA L'INDIANO - DAL "DRIVE IN" ALLE DANZE DEL SOLE CON SIOUX, ENZO BRASCHI RACCONTA LA SUA NUOVA VITA ALLE CANARIE E LA SUA PASSIONE PER GLI INDIANI D’AMERICA: "I NATIVI MI HANNO DATO DUE NOMI. IO CREDO NELLA REINCARNAZIONE. HO FATTO CONFERENZE DI UFOLOGIA PER 20 ANNI. CARL SAGAN DICEVA: UN UNIVERSO SOLO PER NOI SAREBBE UN BELLO SPRECO DI SPAZIO. E TROPPA PRESUNZIONE” (CIAO CORE!) – VIDEO


     
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    Marco Menduni per “La Stampa - Specchio”

     

    ENZO BRASCHI ENZO BRASCHI

    Troppo giusto! Era la metà degli anni Ottanta, in tv irrompe il Drive In di Antonio Ricci e il caleidoscopio di personaggi strappa risate che un'intera generazione ricorda. Di quel puzzle irriverente faceva parte il Paninaro impersonato da Enzo Braschi. Personaggio fissato in quell'epoca, perfetto rappresentante del decennio.

     

    Poi Braschi ha scritto, ha viaggiato, ha approfondito i suoi studi sui Nativi d'America e parla degli Ufo, meglio del Popolo delle Stelle. Ora è appena uscito il suo ultimo libro: "La dea dei golosi", edito da Verdechiaro. Un po' romanzo di mistero, un po' giallo e un po' thriller: «L'ambientazione la lascio nel vago, ognuno la può collocare dove vuole. Ma la protagonista Celeste è figlia di liguri, quindi potremmo presumere che si tratti dell'entroterra ligure. L'ispirazione nasce proprio lì».

     

    Proviamo a ripartire dall'ini-zio. Dal Paninaro che gli ha con-segnato il successo in tv: «L'Italia degli anni Ottanta, dopo i Sessanta dei Beatles, dei Rolling Stones, della musica al potere, aveva creato realtà variegate. I giovani si distinguevano per appartenenza ai branchi, come i lupi».

     

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    Meglio o peggio di oggi?

    «Oggi c'è un'uniformità tristissima, tutti con il piercing, i jeans strappati, il tatuaggetto. Negli anni Ottanta c'erano i punk, i dark, i rockabilly, i metallari... e il Paninaro. Oggi non c'è più nulla. Non c'è più musica, pittura, non c'è più arte».

     

    La passione per i Nativi è precedente

    «Mia madre mi raccontava che, da ragazzino, mi portava a vedere i film di indiani al cinema del quartiere e quando moriva un pellerossa piangevo, mentre quando moriva Custer applaudivo.

     

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    All'Università di Genova mi sono laureato con il professor Raimondo Luraghi con "La spiritualità dei Nativi americani delle grandi pianure". Una tesi di 400 pagine, in inglese, presi 110 e lode».

    È una passione che non si ferma più: «Pubblicai il mio primo libro già all'epoca del Drive In e ricevetti l'invito di un'associazione di andare a partecipare alla Danza del Sole, riservata a pochissimi bianchi. I Nativi mi hanno dato due nomi. Io credo nella reincarnazione, è una radice che deve provenire dal passato».

     

    Poi i popoli dello spazio

    «Ho fatto conferenze di ufologia per vent'anni. Sin da piccolo mio padre mi portava a casa i romanzi di Urania e mi appassionavo. Poi andando a fare sette Danze del Sole tra i Sioux e i Dakota, parlando con gli anziani di cui ho acquisito la fiducia, ho appreso segreti che sui libri non troverai mai».

     

    Colloqui intensi e segreti:

    enzo braschi drive in enzo braschi drive in

    «Mi parlavano del Popolo delle Stelle, degli antenati che venivano dalle Pleiadi. I Cherokee, i Dakota raccontano sempre di questa costellazione mitica che è considerata come un trait d'union tra noi e il cielo. I Navaho e gli Hopi raccontano del piccolo popolo con cui vissero sottoterra al crollo del Terzo Mondo».

    Ne parla durante le conferenze sugli indiani e viene ascoltato da alcuni ufologi, che lo invitano ai loro congressi. Ma le visite di questi popoli continuano ancora oggi?

    «Le visite non sono mai finite. Le connessioni che ho scoperto, gli Elohim della Bibbia, gli Annunaki dei Sumeri, i Kacina dehli Hopi e dei Navaho, rivelano che sono tutti collegati tra loro, sono radici della stessa pianta. Ci sono contatti che cominciano dall'inizio dei tempi. Carl Sagan diceva: un universo solo per noi sarebbe un bello spreco di spazio. E troppa presunzione».

     

    DRIVE IN DRIVE IN

    Il suo ultimo romanzo si ambienta, pur senza scoprire le carte, in Liguria: «Io mi sento profondamente ligure, che non è una sorta di sentimento retrò o narcisistico, ma un legame che si rafforza con il tempo. Quando ero ragazzo ascoltavo "Ma se ghe pensu" e mi veniva da sorridere: il nostalgico che è andato in America e vuol tornare... con il passar del tempo mi sono accorto che mi muoveva emozioni molto forti.

     

    Non si ha nostalgia solo di una città, ma della condizione che ti dà quella città, legami forti, le strade, le piazzette, gli odori. Ho letto del cimitero di Camogli e mi è venuto un colpo al cuore. Vorrei tornare a rivedere le 5 Terre».

    Oggi dov'è Enzo Braschi?

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    «Avevo trovato un appartamentino sul mare alle Canarie e mi ero detto: ci vado per qualche tempo. È arrivato il Covid e mi sono fermato. Sono ancora qui».

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