Azzurra Della Penna per Chi
Foto di Massimo Sestini per Chi
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Raccontano le maestranze che una volta il regista disse: «Non la voglio quella luce lì», e che qualcuno gli rispose: «Maestro, è sorto il sole». Il maestro è Alfonso Signorini, all’epoca del lavoro che gli costava lunghe notti sotto il palcoscenico all’aperto, in quel di Torre del Lago.
Lavoro diventato l’opera che ha poi aperto il Festival di Puccini: Turandot. Il 14 luglio in scena sotto la sua regia. Il 17 dicembre, in onda su Canale 5. Alfonso Signorini ha un filo di voce (e un filo di luce): «Quel che resta di me, vi offro», dice e si apre subito in quel sorriso che gli rallegra gli occhi e che - è semplice conseguenza - tocca il cuore di tutti. È reduce dalle fatiche (e dal successo) del Grande Fratello Vip. Un pizzico di stanchezza, appena un lustrino, un leggero velo di soddisfazione che è poco più spesso di una paillette.
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Ed eccolo qui, lui che un tem- po è stato definito “The King of Gossip”, e nel corso degli anni si è rivelato quale unico Re del Pop (e ci hanno provato in tanti). Uomo dalla ineffabile personalità: professore, direttore, regista, opinionista, scrittore, pianista e mica soltanto tutto questo: «La settimana prossima sarò ospite da Fabio Fazio con Chopin». E porterà in tv il suo nuovo libro, Ciò che non muore mai, e con quello le mille e una avventura della sua grande valigia editoriale. «Passare dal GF a Fazio mi fa piacere, mi diverte», sorride ancora. Domanda. E trascendendo il genere, torniamo all’opera...
Risposta. «Turandot vede finalmente la consacrazione televisiva. È un traguardo importan- te: per la prima volta va in onda nella sua interezza “sul piccolo grande schermo” di Canale 5. E io devo essere riconoscente a Pier Silvio Berlusconi: non appena gli ho accennato di questo mio sogno - vedere la mia Turandot sulla rete per cui lavoro - lui ha abbracciato questo progetto con un entusiasmo superiore al mio».
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D. E a questo punto lei non si è preoccupato?
R. «Per nulla, perché quando tu trasmetti l’opera non c’è nessun tipo di pressione: in ter- mini di share l’opera non può fare grandi numeri. Parliamo di un primo tentativo di educazione al dramma che, comunque, ultimamente, grazie a Roberto D’Agostino e ai quotidiani, sta prendendo una piega molto popolare, come non capitava dagli Anni 50 e 60. E grazie anche a personaggi come Anna Netrebko o come Riccardo Muti, che comunque hanno una loro visibilità... E poi la preoccupazione io l’ho già provata, semmai, quando sono andato in scena “nella notte di Torre di Lago”.
E anche in quel momento non ero poi così inquieto, non che io sia un mitomane, piuttosto avevo la consapevolezza di avere fatto un lavoro onesto e rispettoso nei confronti della mu- sica».
D. La sua Turandot si muove nel solco perfetto della tradizione operistica, lei ha lavorato tenendo sulle ginocchia e curandolo con la grazia che si riserva a un bimbo il libretto dell’opera.
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R. «Io credo che la musica sia questa, io la suono anche e so che quando tu la rappresenti non ci devi essere tu, neanche con la tua sensibilità, ma ci deve essere la musica, soltanto lei, questo è un comandamento per me ed è fondamentale».
D. Ma da Turandot a Fazio passando per il GF come si arriva?
R. «Io non ho verità da taschino, l’unica ricetta che posso applicare a me stesso è essere curioso. La curiosità è necessaria non tanto per passare da Fazio a Turandot, ma piuttosto per la vita stessa».
D. Può chiarire meglio?
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R. «Vede, quando si è curiosi, si è curiosi di approfondire (e non di spolverare). Tutto questo presuppone uno studio e una fatica intellettuale senza la quale non si può veramente cogliere l’essenza di ciò che ci interessa. Fare quel che faccio io, alla fine, non è così difficile, e io a volte vivo persino di rendita delle fatiche intellettuali che ho vissuto sulla mia pelle. Ma stare in una biblioteca, in un’emeroteca, davanti a un testo, a uno spartito, quella è una fatica che ti porta a una consapevolezza nuova, a una vita piena, più colorata. Poi, magari, ti trovi a fare delle cose meno impegnative a livello intellettuale, come la vasca con Malgioglio, ma se le affronti con lo spirito dello sperimentare, perché ce l’hai fra i tuoi demoni, i tuoi “daimon” nel senso greco del termine, e lo fai con grande spontaneità...».
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D. Ma non è difficile passare da un momento all’altro, da un genere all’altro?
R. «La vera difficoltà non è tanto nel fare le cose, ma è nel convincere le persone, c’è un pre- giudizio, che pure io capisco, trovarmi, che ne so, la settimana prossima da Fazio a parlare di Chopin, ma la gente dice: “Ma scusa, ma questo l’altra sera stava nella vasca con la trippa in braccio, ma che ci fa qua?”. È normale che la gente se lo chieda, il difficile è convincerla».
D. A lei viene facile.
R. «Farla facile è difficile (ride, ndr). A proposito di leggerezza, intesa come la leggerezza di Calvino, aggiungo che la Mondadori, ancora con la mia Turandot, affronta un’operazione coraggiosa come quella che fa Pier Silvio Berlusconi, allegandola ai due settimanali-quintessenza della popolarità: Tv Sorrisi e Canzoni e Chi , è un gesto di grande coraggio, perché tu non stai allegando le canzoni di Natale di Pavarotti o di Al Bano, ma un’opera strutturata di Puccini».
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D. C’è la foto che apre queste pagine e che la mostra sul palco mano nella mano con tutti i suoi compagni di avventura...
R. «Fra le persone con cui ho lavorato, non saprei privilegiarne una, parliamo di un gruppo ampio che si è ritrovato a lavorare intorno alla musica e a un evento che, sapeva, non si sarebbe ripetuto, almeno nello stesso modo».
D. È stato un grande successo che, citando Flaiano, è però, anche un “participio passato”.
R. «Passando da Flaiano al GF, vi cito Malgioglio che durante la finale, nel mezzo dell’esplosione dei coriandoli, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Ma io da domani cosa faccio?”».
D. Lo stesso non si può dire della sua Turandot, giusto?
R. «A marzo verrà rappresentata a Tbilisi , in Georgia. E presto arriverà a Shanghai, si stanno prendendo accordi con il governo di Pechino... ».
D. E lei adesso che cosa fa?
R. «Adesso? Mi sto studiando un’altra opera».