Maurizio Belpietro per liberoquotidiano.it
Titolo del Messaggero di ieri: «La rivolta dei prof: non andiamo al Nord». Titolo della Repubblica, sempre di ieri: «Sì alla cattedra anche se lontana, ma uno su cinque rifiuta il posto fisso». Così i due quotidiani della Capitale davano conto di una protesta sotterranea, diffusasi nei giorni scorsi via web in vista delle domande di stabilizzazione dei precari della scuola.
STATUE IMBAVAGLIATE CONTRO LA RIFORMA DELLA SCUOLA
Come è noto il governo ha varato un piano per assumere 103 mila professori, pescando nelle liste di chi oggi vive di supplenze.Un’operazione che nelle intenzioni di Matteo Renzi avrebbe dovuto registrare un generale consenso, almeno fra i docenti, e che invece ha creato solo malcontento. Innanzitutto perché stabilizzando 100 mila precari il presidente del Consiglio ha annunciato di non avere più intenzione di sistemarne altri e gli esclusi (che sarebbero, secondo stime mai confermate, più del doppio dei fortunati che godranno del posto fisso) temono di dover dire addio per sempre alla cattedra.
SCIOPERO SCUOLA
E poi perché l’assunzione comporterebbe il trasferimento nel nuovo luogo di lavoro. Agli insegnanti l’idea di dover far le valigie per raggiungere una località distante da casa, spesso nel Nord del Paese, dove la carenza di docenti è cronica, risulterebbe insopportabile. Così, la più vasta infornata di professori che si sia mai registrata dai tempi della prima Repubblica rischia di trasformarsi in un boomerang, scontentando la base elettorale sulla quale il governo contava per allargare un consenso che si va sgretolando.
SCIOPERO SCUOLA
Tuttavia, al di là dei voti che invece di essere conquistati verrebbero persi, ciò che ci preme segnalare oggi è il contrasto tra un Mezzogiorno dove quasi un giovane su due non ha lavoro, e dove la percentuale di disoccupati rasenta il 25 per cento, e il rifiuto di trasferirsi. Non all’estero, come hanno fatto in molti, soprattutto al Nord e soprattutto chi ha laurea e specializzazione, ma nel Settentrione.
manifestazione contro la scuola di renzi
Certo, lasciare il paese, gli amici e i parenti può essere un distacco che provoca dispiacere. I disagi possono essere molti,a cominciare dal dover far quadrare i conti in una provincia lontana, fredda, dove non si conosce nessuno. Lo stipendio dei professori, si sa, non è dei più elevati, mentre gli affitti lo sono e dunque la prospettiva va valutata anche in base al bilancio famigliare. E tuttavia c’è da chiedersi se oggi, con una disoccupazione al massimo, si possa ancora dare un calcio al posto di lavoro causa lontananza.
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Il nostro è un Paese che con l’emigrazione ha sempre fatto i conti. Non solo con quella all’estero, che ha dato origine ad alcune popolose comunità in America, nel Canada, in Australia, in Svizzera e in Gran Bretagna. Ma anche con l’emigrazione interna. Non ci fosse stato un fenomeno migratorio dal Sud al Nord negli anni Sessanta forse non avremmo avuto il boom che fece balzare l’Italia fra le nazioni più industrializzate del mondo. Le valigie di cartone, i quartieri dormitorio di Torino e Milano tirati su in fretta per sistemare i nuovi arrivati,i conflitti, spesso bonari, tra «terun» e «polentoni» fanno parte della nostra storia, del nostro successo.
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Il Nord non sarebbe stato il Nord senza la manodopera del Sud. Che è cambiato dunque oggi da rendere impossibile, disagevole e addirittura impensabile un trasferimento dalla Calabria al Veneto? Le storie pubblicate sul web da professori refrattari a mettersi in viaggio raccontano ogni genere di difficoltà e prese una ad una possono anche apparire sensate. Ma la verità è che in fondo c’è una parte di questo Paese che vede il cambiamento, la sfida di un nuovo lavoro, il distacco dalla famiglia, come un pericolo per la propria serenità.
Manca la voglia e forse il bisogno. Non avere un posto fisso dispiace, così come non avere chiaro che cosa si farà in futuro, come si manterrà la propria famiglia. Tuttavia, pur lamentandosi per l’assenza di prospettive, non si sta poi tanto male. Tra una pensione di mamma e papà, un sussidio ottenuto magari grazie a un aiutino e qualche lavoretto in nero ce la si può anche fare.
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Dunque meglio rifiutare il trasloco, meglio rimanere a casa, a carico dei genitori, che se poi arriva il reddito di cittadinanza si campa da dio. In America molta gente vive in case di legno che si possono mettere su un Tir per spostarsi da un posto all’altro inseguendo il lavoro in un altro Stato. In Italia al contrario molta gente vive in casa dei parenti in attesa che il lavoro la insegua nel suo paese. È una differenza non da poco. E poi si domandano perché il Pil stia fermo o si muova come una lumaca. Se i primi a non muoversi sono quelli che cercano lavoro, perché il Prodotto interno lordo dovrebbe correre?