Ottavio Cappellani per “La Sicilia”
TERRONI DEL NORD
L’ingegnere Francesco Terrone è un polentone. Di più: è un “belluscone”. E veniamo a spiegarci. Esso ingegnere, che di nome fa Francesco, di cognome Terrone, di qualifica Ing., salernitano, anni 59, ha portato in tribunale l’Accademia della Crusca per ingiungergli, giudiziariamente, l’obbligo della modifica del lemma “terrone” (usato in senso spregiativo dai polentoni con il significato di contadino, villano, che lavora la terra, o addirittura originario delle “terre ballerine” soggette a terremoti). Esso Ing. Sostiene che al significato spregiativo abbia da aggiungersi, il significato, per l’Ing., nobile, di “latifondista, feudatario, di nobili origini legati all’ascendenza aristocratica terriera”.
POLENTONI E TERRONI
Evidentemente l’Ing. Terrone è un classista, non si vede infatti dove un’ascendenza fondata sullo sfruttamento di un uomo su di un altro, dovuto a capitale ereditato, possa essere considerato un uso “positivo” del termine. Utilizzato con questo significato, difatti, il termine “terrone” andrebbe a sovrapporsi, quasi a identificarsi, con il proprietario di “fabbricheeeeeettta” padano, che eredita il capitale e sfrutta l’operaio.
Il significato proposto dall’Ing. Terrone, cioè dire, farebbe diventare il “terrone” nient’altro che un sinonimo di “bellusconismo”, cancellando ogni differenza tra “terrone” e “polentone”. L’operazione, a mio avviso, dovrebbe essere di tutt’altra ispecie, posto che trascinare in tribunale (personalmente gradirei anche le manette) gli Accademici della Crusca, non cessa di apparirmi come una buona idea.
TERRONI E POLENTONI
Bisognerebbe – mostrando maggiore buon senso e abitudine alle cose del mondo – costringere, magari a frustate, gli Accademici della Crusca non a modificare il significato registrato alla voce “terrone”, bensì a implementare il lemma “polentone”, specificando che la polenta in questione è usata in senso squisitamente metaforico.
“Polentone”, ossia, non starebbe unicamente per mangiatore di polenta, ma segnalerebbe un’identità letteraria che trova ampio riscontro nell’uso comune del detto: “siamo quello che mangiamo”.
Così agendo, il “polentone” diventerebbe un individuo dalla mente farinosa e piena di acqua, addensato collosamente, intelligente come una portata del suddetto alimento, gommosamente stupido, insipido, il cui unico fine è riempire la pancia, senza alcunché di spirituale, mancante di intelletto, senza forma, “sformato”, blob, pastrocchio, squaraquacchio, sbobba, laddove il “terrone”, di contro, rappresenterebbe colui che il mais coltiva, conoscendo i segreti dell’agricoltura e varia, e attraverso questa, metaforicamente s’intende, i segreti del mondo e della pacifica convivenza.
francesco terrone
Grande occasione mancata, dunque, per l’Ing. Terrone, al quale auguriamo ogni rispettabilità dovuta a un latifondista, feudatario, di ascendenze aristocratiche terriere, ma anche di lignaggio “borbone”. E adesso veniamo al significato letterario del termine “pernacchia”...
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