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    SCONTRO TRA DISPERAZIONI - UN 85ENNE DELLA PROVINCIA DI PAVIA HA UCCISO A FUCILATE IL FIGLIO 43ENNE DELLA BADANTE ALBANESE CHE SI PRENDEVA CURA DELLA FIGLIA DISABILE: L’ANZIANO LA PAGAVA 150 EURO ALLA SETTIMANA IN NERO, MA LE AVEVA PROMESSO CHE ALLA SUA MORTE LE AVREBBE LASCIATO LA CASA A PATTO CHE CONTINUASSE A OCCUPARSI DELLA RAGAZZA – UNA PROMESSA CHE NON CONVINCEVA LA BADANTE E IL FIGLIO: QUANDO I DUE GLI HANNO CHIESTO UN CONTRATTO, LUI SI È…


     
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    Pierangelo Sapegno per “la Stampa”

     

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    Ci sono storie di una miseria umana che facciamo sempre fatica a capire. Come questa di Giovanni Vezzali, 85 anni, che in una cascina di Gambolò, nella campagna pavese arsa dal sole sulla sponda destra del Terdoppio, ha sparato due colpi con il fucile da caccia a Thomas Achille Mastrandrea, figlio della sua badante, solo perché aveva chiesto per sua madre un contratto in regola.

     

    Lei, Graziella Casnici, di origini albanesi naturalizzata italiana, ha 59 anni, e da tre lavorava a servizio dall'anziano padrone, retribuita - pare - in nero, con un compenso di 150 euro a settimana.

     

    Il delitto è già abbastanza osceno di suo, ma è tutto quello che ci sta attorno che racconta questa umanità dolente e sconosciuta, svelata ogni tanto dalle macerie della cronaca. Giovanni Vezzali guarda i campi dalle sue finestre, chiuso nella sua casa al tramonto della vita, assieme alla figlia disabile, che ha bisogno di cure e attenzioni speciali: era di lei che si occupava Graziella. La vittima, Thomas Mastrandrea, 43 anni, senza un lavoro fisso, s' era sposato tre mesi fa con una donna affetta da una grave forma di sclerosi multipla.

     

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    Per di più, la suocera ha avuto un ictus e adesso è costretta in carrozzella. Lui badava a loro due, in pratica era quella la dimensione della sua esistenza. Vivevano insieme in un rudere fatiscente nella frazione di Nicorvo, che oggi il sindaco, Michele Ratti, fa persino fatica a ritrovare nelle mappe catastali e indicare ai giornalisti che sono venuti a cercarlo, perché quelle mura cadenti e diroccate non sono neppure segnate.

     

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    In quest' incontro di sventure, ai margini della nostra vita di tutti i giorni, la disperazione può diventare accecante. Qualche tempo fa, Giovanni ha preso in disparte Graziella: «Io sono vecchio», ha detto, «e mia figlia ha solo me. Ma io non so quanto mi resti ancora da vivere. Tu le sei vicino da tre anni e sei brava con lei. Ora, devi promettermi che continuerai a badare a lei pure quando non ci sarò più io. Se lo farai, potrai venire a vivere qui con la tua famiglia».

     

    La donna lo ha ascoltato ed è rimasta in silenzio per un po', prima di chiedergli che cosa volesse dire esattamente. «Che vivrai qui, in questa casa», ha ripetuto lui. «Ma in che senso? Cioè, la casa diventa mia?». E lui ha risposto: «Sì. Ti lascio la casa, se resti assieme a mia figlia». Dal giorno che Giovanni ha fatto questo discorso è passato qualche mese, e ogni tanto Graziella è tornata alla carica, per avere la conferma che non fosse stata solo la promessa di un momento, e lui tutte le volte ha ripetuto le stesse cose, che quella era la scelta più giusta, che era logico che lei vivesse assieme a sua figlia se doveva badare a lei.

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    Negli ultimi tempi, però, Graziella ha cominciato a chiedere di avere qualche garanzia in più, qualcosa di scritto che formalizzasse la proposta. Solo che a questo punto Giovanni stava nel vago, sì, vediamo, ci penso.

     

    Lei ne ha parlato a suo figlio, che ormai ci aveva fatto dei sogni all'idea di andare a vivere in un posto normale, via dalla catapecchia dove passava i giorni a guardare le sue donne senza altra vita che quella del loro dolore.

     

    Così domenica ha deciso di andare dal vecchio per chiarire la faccenda. La cronaca dei verbali dice che è arrivato alle 18,30. Che loro due parlavano nella sala, e che la madre era nella stanza della figlia, accanto a lei.

     

    Giovanni deve aver difeso la sua promessa rifiutando però di sottoscrivere un regolare contratto o qualsiasi altra cosa che la rendesse più concreta, negando anche un anticipo in danaro che tutelasse Graziella nel caso che dopo la sua morte quella proposta restasse solo una nuvola di fumo e di vane parole, come a un certo punto deve avergli chiesto Thomas, con voce alterata.

     

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    Giovanni adesso è vecchio e gli anni che sono passati l'hanno lasciato davanti a queste finestre a guardare i giorni che restano. Ma da giovane non era così, lui era un gran cacciatore, e questa è una terra che viveva di quello da sempre, un rifugio sui dossi del Terdoppio, il torrente che vaga nella Lomellina, fra una roggia, i balzi e le distese di campi, prima di confluire in sua Maestà Po.

     

    Il fucile da caccia, lui ce l'ha ancora. E ce l'ha a portata di mano. Graziella dice di aver sentito lo sparo e di essere corsa in sala a vedere cosa succedeva, e c'era Thomas in un lago di sangue. Solo quello ha visto, Thomas che rantolava.

    Mentre piangeva, ha detto «Perché l'hai ucciso?». Perché un disperato uccide un altro disperato che è a mani nude? Perché uno come Vezzali si è sentito padrone del destino di un uomo che non ha mai avuto niente dalla vita?

     

    In Procura, nella notte di interrogatori, ha detto che ha avuto paura. La paura dei vecchi. Ma in questo incrocio di sventure il dolore non è finito. Ora Graziella deve badare alla vedova malata di Thomas. E la suocera l'hanno portata in una casa di riposo.

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    Ancora una volta, sono le cose senza senso che facciamo più fatica ad accettare. Il male ha una sua malvagità inesplicabile, una violenza che non riconosce il dolore degli altri, tutta la pena delle loro esistenze.

     

    Aldo Faraoni, storico questore di Torino, prima di andare in pensione e di lasciare questo mondo, radunò i suoi uomini per un brindisi di saluto, e levò in alto il calice: «A noi», disse. «A tutti noi. Che abbiamo conosciuto la malvagità del mondo». Perché quelli come lui sono stati costretti a incontrarla quasi sempre. Feroci banditi, gente normale e disperata, come Giovanni Vezzali, accomunati dallo stesso gesto. E loro tutte le volte a cercare un senso a cose che un senso non hanno.

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