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    PEDALANDO TRA ABUSI E MOLESIE- UN CASO DI #METOO SCUOTE IL CICLISMO: 14 ATLETE ACCUSANO IL TEAM MANAGER BELGA PATRICK VAN GAMSEN, PATRON DELLA FORMAZIONE HEALTH MATE – “CERCAVA DI ABBRACCIARCI O BACIARCI, GIRAVA IN MUTANDE, E QUANDO CI MOSTRAVAMO INFASTIDITE LASCIAVA INTENDERE CHE NON CI AVREBBE SELEZIONATE PER LE GARE” - DAI TEDESCHI DELLA SUNWEB IL PRIMO DECALOGO ANTI-ABUSI, L’EX IRIDATA MARTA BASTIANELLI: “UNA DECISIONE BELLISSIMA”


     
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    Marco Bonarrigo per corriere.it

     

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    «Lo stipendio era basso: la Health Mate-Cyclelive faticava a trovare sponsor. Così il manager ci propose di vivere da lui a Ekeren, in Belgio. Sei cicliste di sei Nazioni diverse nell’ultimo piano di una casa molto grande e la soluzione sembrava ok. Il problema è che lui, da subito, si mostrò troppo espansivo: cercava di abbracciarci o baciarci, girava in mutande, faceva commenti sul nostro corpo e quando ci ritiravamo infastidite lasciava intendere che non ci avrebbe selezionate per le gare. Per evitarlo sono arrivata a chiudermi in camera tutto il giorno. Alla fine sono scoppiata».

     

    La denuncia

    Esther Meisels, 24 anni, israeliana, è una delle quattro cicliste professioniste (tra loro Tara Gins e Chloë Turblin) che hanno denunciato (in prima battuta al sito cyclingnews.com) Patrick Van Gamsen, patron di Health Mate, sostenute da altre dieci colleghe che hanno chiesto l’anonimato.

     

    Da aprile, dopo essersi ritirata alla Liegi-Bastogne-Liegi, Ester Meisels e le sue colleghe sono senza lavoro. Altre dieci pedalano ancora agli ordini di un manager in carica in attesa di una decisione della Commissione etica federale con una procedura discutibile (articolo 21) che «non concede al denunciante di costituirsi nel procedimento o di essere informato sul suo andamento e ne prevede la convocazione a discrezione dei consiglieri».

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    Abusi e molestie

    In un ciclismo femminile in crescita quanto a qualità e pubblico, il problema di abusi e molestie è sempre più sentito. Allo scandalo della belga Health Mate si aggiunge quello, datato 2017 ma ancora non chiarito, della Cervelo-Bigla, dove milita la star Annemieke van Vleuten: quattro atlete (Iris Slappendel, Carmen Small, Vera Koedooder e Doris Schweizer) hanno accusato il manager Thomas Campana di intimidazioni, atti di bullismo e discriminazioni legate alle loro oscillazioni di peso, tema ricorrente nelle denunce.

     

    Una ciclista americana di alto livello (la cui testimonianza al gruppo di inchiesta «The Outer Line» è stata resa anonima) dopo essere scoppiata in lacrime per non aver raggiunto il peso forma prescritto è stata «premiata» dal manager, durante una riunione con le compagne, con un pacco regalo contenente un pene di plastica. La denuncia più celebre in questo senso viene dalla pistard inglese Jessica Varnish, «bullizzata» dal coach-guru Shane Sutton: lui è stato allontanato (tornando però ad allenare in Australia), la federazione non ha pagato per averne sostenuto i metodi.

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    Il decalogo

    Per questo lunedì scorso i tedeschi del Team Sunweb (uno dei più ricchi, lo stesso del vincitore del Giro 2017 Tom Dumoulin) ha annunciato un decalogo contro gli abusi destinato a proteggere le ragazze al motto di «#MeToo cycling». Il protocollo prevede una commissione interna di garanti, interventi immediati, il divieto di accesso a determinati spazi da parte del personale maschile (del tutto prevalente nei ruoli dirigenziali e tecnici), una «consulente» scelta da ogni atleta presente durante massaggi, medicazioni e riunioni, licenziamento in tronco per chi trasgredisce alle direttive.

     

    «Solo chi se lo può permettere»

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    Marta Bastianelli, 32 anni, ex iridata, è campionessa europea e italiana in carica: «È una decisione bellissima – spiega — ma attuabile solo con i budget milionari di Sunweb. Noi continueremo a non avere bus dove svestirci o fare la doccia, molte ragazze continueranno a cambiarsi in auto o a fare pipì in un angolo protette dalle compagne. Sappiamo bene che il ciclismo ha un inevitabile versante animalesco e quando pedaliamo non siamo principesse ma combattenti. Ma se ci fossero più investimenti ci sarebbero più dignità e meccanismi di protezione dagli abusi. Magari tante ragazze si avvicinerebbero più volentieri e in sicurezza a questo sport».

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