Lodovico Poletto per “la Stampa” - Estratti
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Cinque giorni fa, il crollo. Un boato. Cinque uomini morti. Quattro li hanno recuperati e portati a medicina legale.
L'ultimo, un ragazzo dall'età ancora incerta, che dicono marocchino, è ancora laggiù. Sotto questo gigantesco shanghai di putrelle di cemento spezzate, lastre, pilastri, tondini di ferro attorcigliati. Cinque giorni, e poche certezze. Sulle cause del disastro nel futuro supermercato di via Mariti. Sull'identità dei corpi recuperati. Su tutto. E qualcuno, l'altra notte, ha appeso un lungo striscione sulla recinzione: «Morire di lavoro non può essere accettato, ma in nome del profitto tutto è giustificato».
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Tutto ancora da verificare, nonostante la Procura abbia acquisto documenti e carte del progetto. Dov'è l'errore, la mancanza, oppure l'approssimazione nel montare quel Lego di pilastri in cemento precompresso, con putrelle fabbricate allo stesso modo, e con il medesimo materiale? Chi è che ha sbagliato? Gli operai al lavoro? I progettisti? L'azienda dei prefabbricati?
«In quel cantiere abbiamo riscontrato molte criticità» si limita a dire, con linguaggio burocratico, il capo della procura fiorentina che, con due sostituti, ha preso in mano l'indagine. Non aggiunge altro. Non svela quali siano questi "molti" guai.
taofik haidar
Mancavano protezioni? Già si sapeva. Ma questo non giustifica il disastro che c'è stato. C'erano lavoratori non in regola con il permesso di soggiorno? Anche questo dettaglio è cosa nota. Si era detto due. Sono di più. E sono a tutti gli effetti lavoratori in nero: portati lì dentro per una paga da miseria.
«Molte criticità» è una frase che fa a pugni con quel che, invece, sostiene Renzo Berti, ovvero il direttore del Dipartimento di prevenzione della Asl cittadina: «Non sono mai state rilevate criticità». Lo sostiene all'uscita dell'area che a giorni sarà posta sotto sequestro.
Spiegando che sì, l'Asl era andata più volte a controllare quel mega intervento. L'ultima? Il 12 gennaio. Esattamente un mese e quattro giorni prima del crollo. Tutto in ordine.
Nessun rilievo da fare. Operai con le protezioni. Nessuna traccia di elementi pericolosi. Avevate intenzione di tornarci?
mohamed el fernhane
«Certo, a marzo. I controlli sono regolari».
Forse allora bisogna tornare a quella frase pronunciata la sera del disastro da Gionni Desiato, il capocantiere dell'impresa edile che lavora all'esterno dell'area, che prepara marciapiedi, e viabilità esterna: «Avevano dato un'accelerata nelle ultime settimane». Un'accelerata. Che vuol dire che hanno iniziato a montare in modo più veloce il maxi Lego in cemento armato.
Per quale ragione avevano cambiato passo? Forse perché, per un periodo, c'erano state piogge forti. E in questo isolato che un tempo era struttura militare, si camminava nel fango fino alle ginocchia. Almeno così giura chi abita da quelle parti. E in interventi del genere rispettare i tempi è fondamentale. Chi non lo fa paga penali. Quindi cambiare passo è un obbligo.
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Ora, gettare la croce sulle spalle di chi lavorava lì, oppure su quelle di chi ha progettato oppure dirigeva le opere, non si può. Anche perché la procura, su questo aspetto non si è ancora mossa. Ha portato via, è vero, tutti documenti che c'erano nei container nell'area recintata. I fogli presenze. Gli elenchi delle ditte. Accesi e uscite. E poi sono andati a bussare alla Rdb, l'azienda che fabbrica i pezzi in cemento precompresso - ad Atri - nel Teramano. E anche lì hanno acquisto ordini che arrivavano dalla Villata – la committente di quei lavori – e i progetti delle putrelle e dei pilastri. Ogni pezzo ha una sua storia. Ogni passaggio è registrato. Sistemi di legatura dell'anima in tondini di ferro.
LUIGI COCLITE
Colata di cemento. Compressione. Tempi e modi di asciugatura. Se è vero che ha ceduto una putrella - o come sostiene qualcuno la mensola sul pilastro che la sorregge – allora l'errore è stato commesso lì. Attenzione: «se». Poi ci sono le vittime. Servono accertamenti di natura scientifica per essere certi della loro identità. Impronte.
Se non addirittura verifiche attraverso il dna, come fecero a Brandizzo sui corpi straziati degli operai travolti dal treno. Qui chi è stato travolto dal crollo, è morto schiacciato da tonnellate di cemento. Quando anche l'uomo ancora sepolto in quella tomba di cemento - il suo nome Rahimi Bouzekri - sarà recuperato, il cantiere chiuderà. Metteranno i sigilli del sequestro ai cancelli per consentire le verifiche su quel che rimasto in piedi. E le perizie su ciò che s'è spezzato ed è crollato. Saranno mesi di ingegneri e di misurazioni. Sperando di scoprire la verità.
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