Gianluca Marziani per Dagospia
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Il vostro marziano a Roma vi racconterà una mostra capitolina che sembra uscita dai laboratori culturali sul pianeta Marte, dove studiamo i rinascimenti terrestri per capire l’armonia cosmica di un patrimonio che è veggenza divinatoria senza tempo. QUAYOLA ha la perfetta dicitura del nome in codice, quasi una password da sistema binario in cui la vita digitale domina il sistema degli eventi circostanti. Dietro le sette lettere si nasconde, in realtà, il nome di un artista italiano (Davide Quagliola, nato a Roma nel 1982) che sta spostando i confini relazionali tra antico e contemporaneo, creando un metodico dialogo tra le forme della tradizione iconografica e il potenziale generativo della téchne computazionale.
A Palazzo Cipolla arriva RE-CODING (a cura di Jérôme Neutres e Valentino Catricalà, catalogo Skira), un viaggio sospeso che svela al pubblico questo timido Archimede del digitale umanistico, un artista che, senza forzature, non esiterei a definire “pittore” vista la lucida potenza della sua estetica avanzata, frutto di competenze scientifiche ma, soprattutto, di analisi dell’immaginario pittorico e scultoreo dei secoli trascorsi, Rinascimento e Barocco in primis.
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Complimenti al Prof. Emmanuele F. M. Emanuele per aver portato la Fondazione Terzo Pilastro in un territorio innovativo che trasforma la sperimentazione in portato qualitativo del presente. Un’aderenza al nostro tempo che si esplica nel percorso multimediale del museo, in costante e scenografico equilibrio tra sculture digitali, quadri e pannelli stampati, installazioni video 4K, still fotodigitali da video e opere dinamiche su monitor.
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Punto di partenza rimane il dialogo con le tradizioni della classicità italiana, da Botticelli a Raffaello, da Michelangelo a Canova, da Guido Reni a Mattia Preti, da Orazio Gentileschi ad Artemisia Gentileschi… Quayola instaura un dialogo analitico con le loro soluzioni compositive, cercando la quadratura dei contenuti dietro una Madonna col bambino o una Deposizione, capendo che tutta la grande arte mantiene un filo rosso con l’idealismo e le alchimie filosofiche oltre la prosa del reale, che ogni capolavoro antico rilascia la sua energia a misura di ogni futuro presente, svelando una téchne che rappresenta il massimo del progresso al suo stato di grazia momentanea.
Partiamo da un soffitto, il primo lavoro che s’incontra nell’esposizione. Su larga scala viene proiettato l’affresco barocco di una chiesa, quella del Gesù a Roma, su cui avvengono modifiche continue della forma, evidenziate da sintesi geometriche che rileggono l’originale in un tessuto di nuove codificazioni, dove il digitale stesso muta in un processo (neo)barocco della trama elettronica. Sotto la proiezione si erge, ieratico e potente, un Laocoonte gigante che sembra lanciare messaggi in codice al suo gemello ellenistico presso i Musei Vaticani.
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La scultura è realizzata da uno scanner 3D e da una resina che è stata colata sulla statua di marmo; una volta asciugata ecco il calco in resina della statua in versione digitale, con tratti a sagomatura realistica che si armonizzano ai poliedri sintetici della traduzione digitale. Un principio che ritroviamo nelle altre sculture lungo la mostra, frutto di bracci robotici e software generativi che plasmano il modello anatomico e ricreano l’ipotesi al presente del non finito michelangiolesco.
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Le stampe digitali scompongono per zone cromatiche le iconografie della grande pittura italiana, stimolando il nostro sistema cognitivo a fare un volo retinico di sintesi binaria. In modo parallelo, alcune stampe su alluminio rileggono quadri famosi con reticoli di linee bianche che scansionano lo schema della pittura di riferimento (bravi ad aver messo, come corredo esplicativo, le immagini delle opere su cui l’artista ha esercitato la sua pratica manipolatoria).
Anche sul paesaggio avviene un processo morfologico di natura elettronica. Un tema che non poteva mancare in una mostra che indaga i generi della tradizione pittorica, cercando negli archetipi le zone di apertura semantica, gli spazi di rinnovamento tecnologico, i punti di contatto tra origine manuale e sviluppo elettronico. La natura diventa un viaggio nelle mutazioni di luce e forma, nei processi figurativi del colore, nei sistemi dinamici di astrazione del reale. Una sezione espositiva che si distende tra monitor e grandi proiezioni, creando spazi di pura immersione sensoriale, quasi a far levitare lo sguardo dopo l’impatto frontale dei soggetti religiosi e mitologici.
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Una mostra complessa nel suo processo ma semplice nel suo risultato, di solido impatto visivo ma anche ricca di spunti poetici e concettuali, destinata ad un pubblico eterogeneo che potrà immergersi nella nuova estetica di un artista formidabile. Risiede qui il prossimo presente dell’arte contemporanea, dentro una fusione virtuosa tra memoria e tecnologia, radici ed esperimenti, archetipi e nuovi modelli di pensiero. Se vogliamo mantenere alta la vita prossima dei linguaggi manuali, dovremmo integrarci alla forza generativa del progresso digitale, ricreando scambi fertili tra linguaggi, contaminando il domani con la linfa necessaria delle radici.
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