Gianluca Marziani per Dagospia
vezzoli fondazione giuliani
Sguardi fotografici attraversano l’Italia del bianconero analogico e del colore su pellicola, evocando brandelli di cronaca più o meno regale, toccando figuri e figuranti del teatro mondano, riportando per immagini le forme “mitologiche” del nostro immaginario. Un diario scompaginato di nostalgie un filo canaglie ma così utili per disabituarci ai sapori edulcorati del presente. Un prontuario per ridestare lo sguardo sul “cosa eravamo” appena qualche giorno fa, quando il benessere era terra comune e l’ottimismo un dado rotolante in discesa.
paolo di paolo il mondo perduto
PAOLO DI PAOLO al Maxxi
Complimenti ad Alessandro Michele, imperatore fluido della comunità postgipsy a marchio Gucci, per aver sponsorizzato una mostra di verissimo Made in Italy, quello di un grande fotografo che ha sequenziato l’archeologia mediatica del nostro Paese. Un viaggio a spirale a firma Paolo Di Paolo, sorta di cavatappi visivo che entra nel sughero dell’immaginario postbellico, affondando nel corpo caldo delle coste balneari, della città che sale, del malcontento antagonista, dei divi e divine da cinema, della gente comune dentro una bellezza non comune.
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Di Paolo pubblicava su Il Mondo di Mario Pannunzio, una specie di Internazionale per lettori saggi e già europeisti, carta stampata in filigrana morale che documentava il cambiamento a due teste del Paese: modernità e genio da una parte, populismi e ignoranza dall’altra, sottolineando la natura bifronte degli italiani, quel continuo cortocircuito tra progressismo e conservazione, antagonismo e cattocomunismo, intuito radiante e cultura parrocchiale. Di Paolo agiva sul confine pelvico tra queste anime del Giano italico, cogliendo l’angolo sapiente della normalità, l’armonia del cambiamento urbanistico, lo stridore melodioso del consumismo a pochi metri dall’analfabetismo. Città e provincia, gente di strada e gente di culto, Milano e il suo sogno tra industria e nebbie, la costa adriatica e la costa tirrenica come margini di un’Italia vacanziera e migratoria…
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Pier Paolo Pasolini, Marcello Mastroianni, Giuseppe Ungaretti, Gina Lollobrigida, Giorgio de Chirico, Charlotte Rampling, Padre Pio, Stefani Sandrelli ma anche vedove di paese, corpi da spiaggia, pane e fantasie, pane e ambizioni, città aperte e città mutanti, miserie e nobiltà, corpi esibiti e corpi del reato… il tenore qualitativo delle foto è alto e somatizza intuito estetico, il bianconero si modula con raffinate variazioni tonali, le inquadrature hanno piani di lettura multipli ed ellissi prospettiche, tutto denota dinamismo da reporter raffinato e anticonformista. Una mostra necessaria per un autore che finalmente si rivela al grande pubblico, orfano sì di una bella rivista su cui pubblicare ma protagonista di un volume che raccoglie il suo magnifico viaggio italiano.
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FRANCESCO VEZZOLI alla Fondazione Giuliani
Da sempre Francesco Vezzoli osserva il Paese con occhio viscontiano, ricucendo divismi d’epoca e feticci laici, maneggiando alto e basso con abiti da haute couture artistica, abilitando dosaggi di kitsch emolliente nei suoi progetti tra video, scultura e fotografia.
L’artista si immerge nel nostro recente passato, più o meno televisivo, più o meno gossipparo, e lo supporta con i suoi integratori visivi, bombardando l’immagine d’origine con proteine feticistiche e steroidi concettuali, ricreando una memoria a specchio che riporta tutto a galla ma con l’aura di un’archeologia tubocatodica.
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Alla Fondazione Giuliani si parla di Bettino Craxi, Gianni De Michelis, Sandra Milo, Ilona Staller, Giuliano Ferrara, Giulio Andreotti, Massimo Cacciari, Ania Pieroni… anni Ottanta come se piovesse, direbbe qualcuno, un’immersione da palombaro nel cuore caldo del socialismo craxiano e mondano. Le opere di Vezzoli sono selezionate dal patrimonio esistente di scatti storici, qui ingranditi e rimodulati con cornici sovraccariche e qualche make up da social dandy.
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Sono facce vive e vivide che tutti riconosciamo, attori di razza che raccontano un’altra Italia e un’alta politica, quella che sedeva al tavolo regale delle superpotenze, che infondeva rispetto oltreconfine, che sapeva anche divertirsi – fuoriorario ma non fuoritempo - senza patenti da buonismo idiota.
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Qualcuno ancora dice “meno male che ci siamo liberati da quella gente”, non capendo che è stata una liberazione sbagliata, frettolosa e intestinale, una ripulitura in picchiata senza paracaduti e senza nuovi attori all’altezza del testo, pura distrazione di massa che Vezzoli ci racconta in presa indiretta, lasciando che la cronaca diventi archeologia mediatica, moloch del tempo perduto. Una vertigine elettrica per congedarci da nostri errori con diritto di cronaca e dovere di ripensamento. A noi posteri l’ardua sentenza; ai nuovi poteri l’ardua decenza del domani.
Gianluca Marziani
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