Andrea Carugati per La Stampa
«Sento il rimpianto per gli errori commessi, e ancor più per le cose che non siamo riusciti a fare in questi tre anni». Filippo Taddei, quarantenne economista della Johns Hopkins University, dal 2013 fino alla settimana scorsa è stato responsabile economico del Pd renziano. Poi un post su Facebook, con tanto di foto di scatoloni, per tracciare un bilancio finale di «tre anni di volontariato».
FILIPPO TADDEI E TITO BOERI
È un addio alla politica?
«Assolutamente no, e lo dimostra la mia partecipazione al Lingotto come coordinatore del tavolo sul fisco. È la conclusione di un ciclo, visto che la segreteria è finita con le dimissioni di Renzi. Ma ho ancora voglia di fare politica con il Pd, per portare a termine il lavoro iniziato. In questi anni abbiamo migliorato la situazione che avevamo trovato e piantato il seme del cambiamento. Ma gli italiani ci avevano dato il 40% alle Europee per un cambiamento radicale. E quello non c’è stato».
FILIPPO TADDEI
Renzi ha parlato più volte di errori sulla strategia che ha accompagnato il referendum. In realtà quello che conta per gli italiani sono l’economia e il lavoro. Cosa avete sbagliato?
«Abbiamo iniziato a costruire una casa, spiegando ai cittadini quanto erano buoni i mattoni che mettevamo uno dopo l’altro: dal Jobs Act al fisco fino all’ultimo provvedimento sulla povertà. Ma non abbiamo spiegato bene il progetto complessivo, il filo rosso che lega tutte le scelte che abbiamo fatto».
E come sarebbe la casa che avete in mente per gli italiani?
«Un progetto che ha il lavoro come cuore pulsante: un Paese con più opportunità e tutele, il lavoro come qualcosa su cui investire per il proprio progetto di vita sapendo che non si sarà lasciati soli».
L’Italia di oggi offre più opportunità e tutele sul lavoro?
«Siamo molto distanti da un risultato ottimale, in particolare per quanto riguarda i giovani. Da qui ripartiamo: dal lavoro femminile e giovanile, dalle aree geografiche dove i risultati non sono arrivati. Nel Nord Italia oggi c’è più lavoro rispetto a prima della crisi. E ci sono più tutele per chi perde il lavoro rispetto al 2013. Ma non basta».
Perché il Pd che esce dal Lingotto dovrebbe essere più credibile di quello che ha governato 3 anni?
Tommaso Nannicini
«Abbiamo capito la lezione del 4 dicembre. Non abbiamo fatto solo errori di comunicazione, ma politici. Pensavamo che il Paese potesse avere più pazienza, e invece c’è una fame di cambiamento che non aspetta. Al Lingotto abbiamo cercato di riannodare i fili».
Un Renzi 2 diverso dal Renzi 1?
«Vedo una continuità politica e intellettuale tra il “prima” e il “dopo”. Siamo le stesse persone, magari con qualche esperienza in più e la consapevolezza degli errori fatti».
L’ex premier anche al Lingotto ha citato Marchionne. Le è parso opportuno?
«Il messaggio di fondo è che investire sulla trasformazione può essere un’opportunità. L’esempio è la Jeep prodotta in Italia: possiamo fare cose che non pensavamo di poter fare».
RENZI lingotto
Quanto ha pesato l’atteggiamento napoleonico di Renzi, l’uomo solo al comando?
«Nel Paese è passata l’idea di un Pd più empatico con i più forti che con i deboli, anche se le scelte che abbiamo fatto andavano nella direzione opposta. È stata colpa nostra e dobbiamo fare tesoro di questo errore. Ma di Napoleone è noto che metteva la tenda nel fango con i suoi soldati. Nel lavoro con Renzi ho trovato lo spirito di condivisione di un primus inter pares».
È uno dei pochi a dirlo…
«Forse chi non ha fatto parte di questi “pares” ha interesse a dire il contrario».
Le sue idee sul lavoro appaiono più a sinistra di quelle dell’ex segretario.
«Restando alla metafora della casa, ci possono essere idee diverse sulla distribuzione delle stanze, ma la struttura è la stessa».
Nella guida del Pd c’è stato troppo leaderismo?
renzi al lingotto
«L’ultimo anno di lavoro nel Pd è stato molto duro. Il focus sulla riforma costituzionale ha portato a un accentramento del ruolo di Palazzo Chigi. Credo che si sia capito che il partito va gestito diversamente».
Da professore prestato alla politica è rimasto deluso dal rapporto con Renzi?
«La politica non è un rapporto romantico tra persone, al massimo tra le persone e le idee. Ho ancora voglia di fare qualcosa per il mio Paese, vedremo come».