foto di gianni agnelli
Tina A. Commotrix per Dagospia
Cosa nasconde il silenzio fin qui sceso attorno al centenario di Gianni Agnelli che cadrà il prossimo dodici marzo? Già. La ricorrenza “metafora inutile", per dirla con le parole alte del poeta Borges, "che convoca un attimo che muore e un altro che sorge”.
Jackie Kennedy, Suni e Gianni Agnelli, Benno Graziani, Stas Razdwill
L’Avvocato era nato a Torino nel 1921, lo stesso anno del partito comunista a Livorno. “Una magnifica coincidenza per due esistenze, quella del Pci e di Gianni Agnelli”, ha fatto rilevare “il Foglio” nel tentativo di assottigliare la nebbia fatta calare dai suoi eredi su uno dei grandi protagonisti del Novecento italiano.
ljuba rizzoli e gianni agnelli
Chi altri se no? Dunque, si celebra il comunismo seppellito sotto il muro di Berlino, e nelle librerie, annota il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, è tutto un germogliare di opere (s)consacrate al secolo “rosso”, ma non trovi nemmeno una biografia aggiornata dell’Avvocato, genere che lui del resto detestava.
“A quanto mi risulta sono almeno sei le biografie prima autorizzate e poi misteriosamente respinte al mittente dagli eredi dell’Avvocato; tra le ultime una ad opera dello storico Giordano Bruno Guerri”, fa rilevare un agente letterario milanese. Così, soltanto un francobollo emesso dalle nostre Poste alla fine rievocherà il Signore della Fiat. E non soltanto.
gianni agnelli e heidi von salvisberg-1967
“Gianni possedeva l’allure e la verve di un sovrano settecentesco vivacissimo, e di un banchiere cosmopolita e seducente - benché non producesse macchine chic”, è il ritratto che ne fa il sublime Alberto Arbasino. E lo scrittore di “Fratelli d’Italia” si chiedeva pure come mai l’Avvocato, “acuto amante dell’arte non applicava mai lo stesso occhio anche nelle macchine Fiat in qualche fase d’insofferenza per il look impiegatizio nei prodotti di serie e di massa”.
E se Gianni era un signore del Rinascimento a quali pittori (biografi) affidare allora, si saranno chiesti gli eredi dell’Avvocato, la trasfigurazione del Lingotto (ex fabbrica Fiat) in una superba cappella Sistina sconsacrata? Lì dove si può ammirare la splendida pinacoteca di Gianni e Marella Agnelli “sfregiata” ai piani bassi dai salumi appesi nelle vetrine di Eataly.
GIANNI AGNELLI IN COPERTINA SU IL MALE - ANDREA PAZIENZA - 1979
E quante censure avrebbero subito gli autori dell’opera visiva una volta disseminata dai volti delle amanti e delle prodezze sessuali di Gianni: le Cristine, le Heidi, le Pamele, le Anite, le Jacqueline, le Dalile … che rappresentano la faccia irriferibile di una saga familiare mondana e tragica.
“Quanti flashback. All’alba della Dolce vita, Gianulasch era ammiratissimo al Club 84 perché l’unico a tenere una bottiglia di whisky al tavolino” (Arbasino). “Ognuno è playboy. Tutti ci provano, alcuni ci riescono”, confessò il nostro.
Certo, aggiunse, a mo’ di riparazione “Si può fare tutto, ma la famiglia non si può lasciare. La lunga e spensierata giovinezza dell’Avvocato avra termine alla vigilia dei cinquant’anni quando a uno sbigottito Valletta annuncia: “Penso che in Fiat ci sia bisogno di aria nuova…”.
GIANNI AGNELLI E HENRY KISSINGER
E il vecchio professor Vittorio che sta ai vertici dell’azienda dal 1928 chiede: “E secondo lei chi potrebbe realizzare questo progetto?”. La replica di Gianni è una fucilata al suo cuore e al suoi orgoglio sabaudo ferito: ”Penso spetti me”.
Henry Kissinger, ex sottosegretario alla Casa Bianca, che di Agnelli è stato amico e consigliere prezioso ne rievoca “il suo fascino, entrato nella leggenda (…) era un uomo divertente con una intensa devozione per l’arte, all’appassionato tifo calcistico per la Juventus…Politica e diplomazia lo affascinavano (…) e poi si godeva la vita”.
Nel suo volume “Dinastie” (Garzanti) su fortune e sfortune delle grandi aziende famigliari, lo storico David S. Landes coglie una specificità nel casato Agnelli: “La Fiat non è una ditta a conduzione famigliare uguale a tutte le altre, è l’incarnazione stessa del capitalismo italiano del Novecento”.
Un capitalismo, sostiene James Arnold autore della Bbc “molto politico e bizantino”.
Gianni Agnelli con Marella
Con Gianni nel ruolo del mediatore nella Fiat degli anni Ottanta stretto nella morsa tra le pretese dinastiche della famiglia (Umberto Agnelli), il potere politico di (Romiti) e il potere finanziario (Cuccia).
umberto gianni agnelli
“Di fronte allo gnomo di Mediobanca - annota Car Reich biografo del potente banchiere di Lazard, Andrè Meyer per anni cooptato nel board Fiat (1956-1966) -, Gianni è sempre rimasto uno scolaretto”. E nel suo libro “Agnelli l’irresistibile”, l’autrice Marie-France Pochna torna sulla sudditanza psicologica di Gianni nei confronti di Cuccia: “Davanti al patron di Mediobanca persino Agnelli perdeva il suo consueto senso dell’umorismo”.
Enrico Cuccia Cesare Romiti
Ma dopo il “golpe bianco” del 1993 con il presidente di Mediobanca che spezza la linea di successione tra Gianni e Umberto sfruttando le solite difficoltà della Fiat, l’Avvocato paragonò Cuccia al boss mafioso Totò Riina (Ezio Mauro), e nel giorno dell’addio di Romiti si prese cura di andare a controllare di persona se la stanza di Cesare, l’usurpatore romano, fosse vuota.
cesare romiti con gianni agnelli nel 1989
Torino, allora, orfana dell’Avvocato che sembra aver dissipato la sua storia insieme al suo “piacere di vivere temperato d’ironia, d’intelligenza chiarificatrice e razionale” del primo dopoguerra (Italo Calvino). La città che l’aveva visto nascere ma che in realtà non amava più di tanto.
Agnelli non si considerava il suo Re: “La mia appartenenza è nella Val Chiusone, che si estende tra Pinerolo e Sestriere (…) quelle sono le terre dove mi trovo a casa. Torino è la città dove siamo andati a lavorare”.
JOHN ELKANN E GIANNI AGNELLI
E la regola del silenzio (complice) sul centenario dimenticato viene religiosamente osservata sia ai piani alti dell’ex Fiat, (oggi Fca-Peugeot-Stellanis con sede ad Amsterdam) sia nelle istituzioni locali. Da palazzo Madama, non filtrano indiscrezioni sul come onorare Agnelli, nominato senatore a vita nel 1991 dall’allora capo dello Stato, Francesco Cossiga, anche per tenerlo lontano dai possibili guai giudiziari della Tangentopoli che verrà.
“Ij fieuj a son come ij dij dla man: a nasso da l’istess pare e da l’istessa mare ma a i na j’è nen un midem”, fa osservare a Dagospia, con un detto piemontese, una delle ultime madamin della Torino d’antan dopo la morte a 103 anni della regina dei salotti sabaudi Marida Recchi.
Con chiaro riferimento agli eredi litigiosi di Gianni e Mariella, dilaniatisi sulla multimiliardaria eredità e, forse, anche sul come (e se) rievocare l’Avvocato. I figli sono come le dita della mano: nascono dallo stesso padre e dalla stessa madre, ma non ve n’è uno uguale all’altro…
TESTAMENTO DI GIANNI AGNELLI
“A l’è mei n’amis che des parent”, insiste la nostra confidente. “Dopo la morte di Marella nel 2003 i ragazzi tanto amati dalla nonna sono ancora in lotta per le spoglie di famiglia. Soldi, case, quadri, mobili nonostante Gianni avesse redatto di suo pugno il testamento”, prosegue non senza velare la sua indignazione.
“Lo sa che nessuna delle volontà di Gianni è stata onorata? Si sussurra che la casa di famiglia a Villar Perosa sia disabitata. Yaki Elkan se ne starebbe costruendo una nuova sopra Villa Frescot con il contributo dell’architetto-darkmetal Peter Marino. Il guardaroba firmato Caraceni dell’Avvocato è finito strapazzato nel guardaroba di Lapo…E sembra ci sia una guerra di carte bollate anche per il rifugio di Marrakesh che Marella voleva lasciare alla nipote Ginevra…”.
A diciotto anni dalla morte dell’Avvocato, la madamin, che dà voce alla “sua” Torino industriale, operaia, letteraria e degli intellettuali antifascisti, ahimè scomparsa insieme alle spoglie dell’Avvocato, conclude soave: “Ma forse è un bene che non si celebri Gianni. Lui odiava le feste comandate in famiglia e i compleanni. Se non ricordo male l’ultimo genetliaco mondano è stato per i suoi settant’anni da Chex Maxim a Parigi”.
zorro agnelli
Ma i ricordi, ammoniva il poeta Apollinaire, assomigliano ai “corni di caccia il cui brusio muore nel vento”. Forse qui a Torino il peso dell’oblio sceso sul secolo breve dell’Avvocato appare in modo più forte e sentito. “Elegante, perbene. Dietro quella facciata austera c’è una prorompente vitalità, un cuore pulsante creativo e frizzante che ne fa una città unica e diversa dal resto d’Italia”, scriveva il “Wall Street Journal” nell’era d’oro di Gianni.
Gianni Agnelli jacqueline Kennedy
“Il declino della città è iniziato ben prima della scomparsa di Agnelli e celebrarlo oggi sarebbe il pretesto per l’ennesima apologia del Signore della Fiat”, osserva un ex redattore della “Stampa”.
Per far subito rilevare ironico: “Perciò dobbiamo dire grazie all’iniziativa filatelica delle Poste che gli dedicherà un francobollo. Ma anche questa notiziola è stata pubblicata dalla Repubblica degli Elkann soltanto sulle pagine locali e non nell’edizione nazionale. Curioso no?”. Del resto e a proposito del centenario “sospeso” dell’Avvocato, il sommo Epicuro asseriva: “Quando viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi”.
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