Alberto Mattioli per "La Stampa"
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«Io a quelli di colore la mano la do per ultimi». Basta e avanza per squalificare chi l' ha detto. Ma le aggravanti sono almeno tre. Prima: la stretta di mano negata avrebbe dovuta essere quella dello «scambiatevi un segno di pace» della messa. Seconda: si trattava non di una messa qualunque, ma di quella di Natale.
Terza: la vittima, quella che aveva steso la sua, di mano, al «cristiano» vicino di banco, è un ragazzino, un tredicenne nero, figlio di un italiano e di una keniota, in chiesa con la sorellina. E che, giustamente, non l' ha presa bene.
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È successo appunto a Natale, alla messa delle 10 nella parrocchia di Santa Maria Nascente a Erba, 16 mila abitanti nella parte brianzola della provincia di Como. E sarebbe rimasto un caso di ordinario razzismo (e magari anche di straordinaria ipocrisia) se qualcuno non l' avesse fatto deflagrare sui social.
Nel caso, la zia del ragazzino, sorella del padre, che si chiama Maria Luisa Testori ed è una responsabile locale del movimento Emmaus che si occupa di accoglienza e di aiuto agli emarginati. Così la storia, anzi la storiaccia, è diventata un post su Facebook, da lì è transitata sulle pagine della «Provincia di Como» e ne è nato un caso.
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«Ho deciso di raccontare tutto per due ragioni - spiega la signora Testori -. Intanto, volevo confortare mio nipote, che ci è rimasto molto male e mi è piombato a casa come una furia. Il fatto che io abbia pubblicato quel post e i molti messaggi di solidarietà che ha ricevuto l' hanno aiutato a superare il trauma. "Vedi? Sei diventato famoso", gli ho detto, e finalmente ha sorriso. Ma poi credo che non sia più possibile stare zitti. Questi episodi vanno denunciati. Bisogna schierarsi: chi non lo fa è complice».
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E dire che finora il nipote di episodi simili non ne aveva mai sofferti. «Ogni tanto raccontava che a scuola lo chiamavano marocchino. Ma lui si stupiva soprattutto che chi lo faceva non conoscesse la differenza fra marocchino e keniota...».
Buon segno, se non altro, la solidarietà per il minore e la condanna per il razzista, entrambe plebiscitarie, che sono tracimate sui social e sul giornale. «Mi scuso a nome di tutta la comunità. Non so chi sia questa persona e non voglio giudicarla, ma di certo il suo non è un atteggiamento cristiano», spiega il prevosto, Angelo Pirovano, che ieri ha incontrato zia e ragazzo.
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Anche la sindaca, Veronica Airoldi (lista civica sostenuta da Lega e Fi, nonno storico podestà in epoca fascista), condanna senza se e senza ma: «Un fatto vergognoso che mi ha profondamente infastidito. Fortunatamente nella nostra città qualcosa del genere non era mai successo e spero proprio che non succederà più».
In effetti, il razzista devoto in quella chiesa non lo conosceva nessuno, quindi non è un habitué della parrocchia. Ah, ultimo dettaglio: sempre per santificare il Natale, non è che abbia dato la mano al ragazzino nero per ultimo. Alla fine, non gliel' ha proprio stretta.
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