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Resta in carcere Renato Vallanzasca, l’ex bandito della Comasina condannato al carcere a vita per più delitti. Lo ha deciso la Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Vallanzasca che è detenuto nel carcere milanese di Bollate. Il verdetto degli ermellini è stato depositato mercoledì e conferma la decisione emessa dal Tribunale di sorveglianza di Milano il 23 giugno 2020. Vallanzasca - che ha 71 anni - aveva chiesto la libertà condizionale o in subordine la semilibertà.
Era tornato in carcere nel 2014, dopo essere stato arrestato per rapina per aver tentato di rubare dei boxer e altri generi di consumo di scarso valore all’Esselunga di viale Umbria a Milano. Fermato dall’addetto alla vigilanza, Vallanzasca, che era in permesso premio, aveva reagito.
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Nella sentenza i giudici sottolineano come i comportamenti di Vallanzasca non siano allo stato «oggettivamente tali da riflettere il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi».
I giudici condividono quanto già messo in luce dal tribunale di sorveglianza di Milano - che, nel giugno 2020, respinse le istanze di Vallanzasca - e, in particolare, la «mancata emersione di atteggiamenti del condannato che segnino, nei confronti delle numerosissime vittime degli innumerevoli e gravissimi reati, anche al di là di risarcimenti di tipo economico, pur possibili alla luce della non seriamente contestata percezione di somme di denaro per pubblicazioni, diritti di autore, anche per lo sfruttamento cine-televisivo dell’esperienza di vita del condannato, un’evidente ed effettiva resipiscenza».
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Il «processo di recupero» del detenuto Vallanzasca - condannato a 4 ergastoli più altre numerose pene detentive - «non è stato e non è oggi esente da incertezze e profonde contraddizioni, il cui apice è rappresentato - ricorda la Corte - dalla non remota recidiva delittuosa e dai complessivi comportamenti “minimizzanti” assunti rispetto ai propri anche recenti comportamenti».
La sua «prolungata detenzione» (pressoché ininterrotta dal 1981, quando venne arrestato dopo la terza evasione) è inoltre stata «varie volte interrotta - si osserva nella sentenza di oggi - per benefici e misure premiali poi inevitabilmente revocati a causa dei comportamenti devianti del condannato, sicché non può certo dirsi che la privazione della libertà personale sia stata ininterrotta e senza possibilità di anticipata conclusione».
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La Cassazione, in particolare, ricorda come, nel 2014, «ammesso alla semilibertà», Vallanzasca «ha nuovamente commesso il delitto di rapina che costituisce l’ordinario dispiegarsi della sua personalità criminale» e anche «l’avviato percorso di `mediazione penale´ - si rileva in sentenza - ha un carattere piuttosto astratto e a-specifico, in quanto caratterizzato da manifestazioni formali e senza un reale, pur possibile, effettivo confronto con le vittime dei reati».
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