Federico Rampini per “la Repubblica - Affari & Finanza”
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L' Europa non deve lasciarsi risucchiare in una logica da guerra fredda, dice il successore di Angela Merkel alla guida della Cdu, Armin Laschet. L' Italia non deve rinunciare alle opportunità della Belt and Road Initiative, dice il ministro degli Esteri cinese in una telefonata al suo omologo Luigi Di Maio. Sono cominciate subito le grandi manovre per "cancellare la visita di Joe Biden" in Europa. Tra gli obiettivi di quella visita, infatti, al primo posto figurava l' urgenza di compattare l' Occidente per affrontare la sfida con la Cina.
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Dal G7 al vertice della Nato, fino al summit tra Stati Uniti e Unione Europea a Bruxelles, quello era stato un tema dominante. Pechino dapprima aveva reagito stizzita, per esempio quando aveva descritto il G7 come un club vecchio e piccolo, non più rappresentativo degli equilibri mondiali. Ma poi la diplomazia cinese si era messa al lavoro per richiamare gli europei al perseguimento dei loro "veri" interessi. Messaggio che forse non era neanche necessario nel caso dei tedeschi.
donald trump
La Germania da tempo ha intrapreso una revisione del proprio posizionamento strategico, con una netta impronta mercantilista. Questo era già vero prima della presidenza Trump. I suoi interessi li conosce bene e vuole perseguirli mantenendo aperte tutte le opzioni: l'alleanza con gli Stati Uniti, ma anche proficui rapporti economici con la Cina (e la Russia). Laschet lo ha ribadito. Si conferma così che l'Europa sarà uno dei principali "oggetti del contendere" nella gara tra Stati Uniti e Cina. Questo non significa farsi illusioni su una presunta centralità dell'Europa, che in realtà ha continuato a perdere terreno.
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Ma Biden ha molto chiaro un punto: nel lungo periodo la sfida tra America e Cina è impari, se guardiamo alle tendenze della storia e alle rispettive proporzioni demografiche; l'unico modo per non soccombere è puntare sulla capacità degli Stati Uniti di tenere insieme larghe alleanze, con gli europei e con le democrazie asiatiche. I temi concreti sui quali Biden ha chiesto agli europei di schierarsi sono stati al centro della sua prima tournée internazionale.
JOE BIDEN XI JINPING
Si sono intrecciati con concreti gesti di amicizia. Dietro la retorica sul rilancio delle democrazie vediamo la sostanza. Biden a Bruxelles ha chiuso una guerra commerciale durata 17 anni. La tregua transatlantica sui dazi è il risultato concreto e palpabile dell'offensiva della seduzione che il presidente americano ha lanciato sul Vecchio continente. «Insieme, americani ed europei, rappresentiamo 780 milioni di persone che condividono valori democratici e hanno la più grande relazione economica del mondo».
angela merkel xi jinping
Quel comunicato finale del summit Usa-Ue rilanciava un'armonia che non era scontata: da molto tempo l'Atlantico era turbato da conflitti mercantilisti, non tutti di origine trumpiana. Si volta pagina, vengono sospesi per cinque anni quei dazi che colpivano vini, formaggi e prodotti industriali europei, come rappresaglia per i sussidi pubblici al gruppo aeronautico Airbus.
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L'annuncio è stato dato dalla rappresentante di Biden per il Commercio estero, Katherine Tai, e dal commissario europeo che ha la stessa competenza, Valdis Dombrovskis, poco prima che Biden partecipasse al summit bilaterale fra Stati Uniti e Unione europea. Il contenzioso Airbus-Boeing durava da 17 anni e si era sviluppato a due livelli: da una parte la battaglia legale davanti al tribunale della World Trade Organization, dove gli uni e gli altri erano stati condannati per l'uso illecito dei sussidi pubblici ai colossi aeronautici.
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D'altra parte, in virtù di quelle vittorie incrociate in tribunale, sia Washington sia Bruxelles avevano introdotto dazi compensativi-punitivi, su settori non collegati all'aeronautica, ma passibili di infliggere un danno proporzionale.
La tregua scongiura il rischio di dazi su 12 miliardi di dollari annui di interscambio. Questo gesto distensivo porta le impronte digitali di Biden, della sua volontà di ricucire la relazione transatlantica, per concentrare gli sforzi contro la Cina. Infatti la tregua ha la minaccia cinese come sottofondo.
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Se le due maggiori economie occidentali hanno deciso di sospendere ogni ostilità sul fronte dei sussidi all'aeronautica, lo si deve al nuovo clima che Biden porta nelle relazioni tra Washington e Bruxelles. Ma un acceleratore di questa pacificazione sta nel fatto che la Cina ha avviato la costruzione del suo polo aeronautico, e lo fa come sempre col sostanzioso contributo dei sussidi di Stato. Il jet passeggeri cinese si chiama C919 ed entrerà in servizio alla fine di quest' anno. Per adesso si prevede che avrà una quota di mercato modesta, e la Cina deve ancora comprare i reattori da General Electric (Usa). Ma in prospettiva nessuno vuole sottovalutare quel che la Cina saprà fare nell'aeronautica civile.
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In passato sottovalutare le capacità cinesi è sempre stato un errore. È il terzo incomodo che ha costretto all'armistizio i due attori dalla presenza consolidata. Questa è la ragione forte dietro il compromesso tra i referenti governativi di Airbus e Boeing, che vogliono concordare fra loro il limite accettabile degli aiuti pubblici.
Per quanto americani ed europei abbiano tutti sostenuto i propri "campioni" con denari pubblici, quando scende in campo il governo di Pechino si può essere certi che la mole di sussidi erogati fa impallidire gli altri. Perciò l'intesa maturata in occasione della visita di Biden va vista su uno sfondo più generale. Un'altra decisione importante è la creazione di un Consiglio Usa-Ue per il Commercio e la Tecnologia. Dovrebbe essere un organismo tecnico bilaterale che funga da camera di compensazione per prevenire i conflitti commerciali, ma anche molto di più: un luogo dove americani ed europei concordino gli standard globali per le nuove tecnologie, per esempio l'intelligenza artificiale, prima che sia la Cina a farlo.
JOE BIDEN AL G7 IN CORNOVAGLIA
Saper imporre gli standard tecnici è sempre stato un segnale di egemonia sul fronte dell'innovazione, e oggi l'Occidente non può dare per scontato che questo primato gli appartenga. In parallelo nasce una task force comune tra Stati Uniti e Unione europea per «la sicurezza delle catene industriali, di produzione logistica e trasporto».
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Il tema è di rovente attualità, dopo che pandemia e lockdown hanno fatto emergere tanti anelli deboli della globalizzazione: prima l'Occidente si è scoperto dipendente dall'Asia per mascherine e tute protettive, poi per certi principi attivi dei medicinali, infine per i semiconduttori la cui penuria penalizza trasversalmente tanti altri settori industriali. Senza invocare apertamente un "decoupling" dalla Cina o una ri-localizzazione, americani ed europei vogliono studiare insieme le strade per essere meno vulnerabili, meno esposti a catene di rifornimento troppo dilatate.
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L'Ue aveva fatto la sua parte per spianare la strada a un rilancio dell'alleanza: prima ancora che Biden mettesse piede sul suolo europeo, l'Europarlamento aveva congelato la ratifica dell'accordo bilaterale con la Cina sugli investimenti. Quando ancora c'era Trump alla Casa Bianca, aveva ottenuto qualcosa dagli europei sul 5G e i controlli sugli investimenti cinesi in settori strategici. Ma Laschet - che potrebbe diventare cancelliere se la Cdu ripetesse a settembre la buona tenuta delle recenti elezioni regionali - è stato molto cauto sul futuro.
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Ha invitato a «non trasformare la Cina in un nuovo nemico», ha detto che le prese di posizione troppo nette sui diritti umani non gli sembrano utili. Pechino ha risposto chiudendo uno degli ultimi giornali liberi di Hong Kong, La leadership cinese è convinta di poter continuare a praticare il gioco duro, e ciononostante di avere un potere contrattuale sufficiente verso l'Europa per impedire che si schieri. La partita è aperta.
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