Federico Rampini per “la Repubblica”
JANET YELLEN
Giù le mani dalla riforma bancaria. Il primo "contropotere" con cui si scontra Donald Trump è la Federal Reserve. Janet Yellen, presidente della banca centrale, economista di provata fede democratica nominata da Barack Obama, lancia un altolà al presidente-eletto. Nella sua prima uscita post-elezioni la banchiera centrale più potente del mondo ha segnalato la sua ferma opposizione su una delle promesse di Trump: lo smantellamento della legge Dodd-Frank varata nel 2010 su richiesta di Obama da un Congresso allora a maggioranza democratica.
Con quella legge, che traeva le lezioni dal crac sistemico del 2008, sono stati posti dei limiti alla speculazione finanziaria e ai rischi che le banche possono assumere. Sono stati anche rafforzati i poteri di vigilanza con la creazione di una nuova authority ad hoc, l' agenzia per la protezione del risparmiatore che sorveglia la qualità e l' affidabilità dei prodotti finanziari. «Non vorrei - ha detto ieri la Yellen - che l' orologio tornasse indietro, non vorrei vedere la fine di tutti i miglioramenti che abbiamo introdotto».
janet yellen barack obama
La presidente della Fed ha messo il dito su una contraddizione del presidente eletto. Da una parte Trump è l' erede del Tea Party, il movimento di destra che nacque nel 2009 per protestare contro i salvataggi dei banchieri di Wall Street. E a portare Trump alla Casa Bianca sono stati i voti decisivi degli operai del Michigan, del Wisconsin e della Pennsylvania. Al tempo stesso però in campagna elettorale Trump fece propria la tesi della lobby di Wall Street, che ha sempre accusato la legge Dodd-Frank di imporre un dannoso fardello alle banche. Trump deve scegliere se stare con l' operaio del Midwest o con i banchieri di Wall Street. A giudicare dai lobbisti di cui si sta circondando, a cominciare dal suo genero Jared Kushner, gli interessi di Wall Street non saranno trascurati.
redneck per trump
La Yellen con la sua presa di posizione ha fatto sì che la scelta di Trump su questo tema non passerà certo inosservata: se mantiene fede alla promessa di eliminare la Dodd-Frank, oltrepassando le obiezioni della banca centrale, la sua immagine di paladino della "middle class" ne uscirà intaccata.
Un' altra cattiva notizia la Yellen gliel' ha data su se stessa: non ha l' intenzione di farsi da parte. Concluderà il suo mandato fino alla scadenza naturale, 31 gennaio 2018. Dunque per un anno intero della sua presidenza Trump dovrà vedersela con questa banchiera centrale che lui stesso aveva accusato di essere «fortemente politicizzata» nelle sue decisioni. Trump aveva anche accusato la Fed di alimentare una "bolla speculativa" con la sua politica monetaria fortemente espansiva. Ma queste sono cose che diceva in campagna elettorale, quando non pensava di vincere.
trump
Ora non gli farebbe certo comodo la fine di quella politica monetaria generosa, che ha contribuito alla ripresa economica degli ultimi 7 anni. La Yellen ha messo il dito sulla contraddizione: «Non credo che le gente del Michigan, Ohio e Pennsylvania prenda bene quel suggerimento», cioè la fine di una politica monetaria pro-crescita. Non a caso ha citato Stati industriali il cui voto è stato cruciale per Trump.
trump redneck
Sulle prossime mosse la Yellen ieri ha mostrato cautela. Ci sarà con ogni probabilità un rialzo dei tassi americani a metà dicembre (si prevede un quarto di punto) ma questo era già programmato da prima delle elezioni. Per il resto, «è ancora presto per giudicare l' impatto del programma di Trump», ha detto la Yellen. I mercati sono meno cauti di lei: scommettono che Trump terrà fede all' altra promessa, quella di un maxi-piano di investimenti pubblici in infrastrutture (addirittura 1.000 miliardi nel suo programma elettorale).
donald trump chuck norris
Quindi vedono più deficit pubblico, più crescita, più inflazione in arrivo. E di conseguenza nuovi e più rapidi rialzi dei tassi direttivi della Fed. È questo scenario ad avere rafforzato il dollaro dall' elezione di Trump in poi. Con un paradosso: il Superdollaro danneggia l' export americano e svaluta le monete delle economie emergenti, rendendo più competitivi i prodotti dalla Cina e dal Messico, contro cui il neo-presidente ha promesso restrizioni commerciali.