Laura Salonia per "www.iodonna.it"
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Buone notizie per le coppie con problemi di fertilità che desiderano un figlio e che hanno deciso di ricorrere alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), ma che con il lockdown hanno dovuto interrompere le cure. La Fase 2, però, ha portato qualcosa di buono per loro.
Il 12 maggio 2020 è arrivato il via libera del Centro Nazionale Trapianti e del Registro PMA dell’Istituto Superiore di Sanità per i trattamenti di fecondazione assistita, rientrati nel novero delle cure non urgenti e che quindi erano stati sospesi durante il lockdown. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
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Fecondazione assistita e coronavirus
Durante la Fase 1, per contenere la trasmissione del Covid 19 un documento congiunto del Centro nazionale trapianti e del Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita (pma) dell’Istituto superiore di sanità ha raccomandato ai centri di procreazione medicalmente assistita di sospendere tutti i trattamenti non urgenti delle coppie che non abbiano già iniziato il protocollo di stimolazione farmacologica. La stessa raccomandazione vale per tutti i casi considerati non urgenti, per via dell’età o di particolari condizioni cliniche.
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Il via libera dal 12 maggio
Da oggi 12 maggio 2020 possono ufficialmente ripartire le cure di Procreazione Medicalmente Assistita che ogni mese riguardano circa 7-8 mila coppie, il che significa circa 1.500 nascite ogni mese. Il via libera è arrivato dal Centro Nazionale Trapianti e del Registro PMA dell’Istituto Superiore di Sanità. «Ma se da un lato è necessario ripartire prontamente per non infrangere i sogni delle tante coppie che avrebbero dovuto iniziare o proseguire i trattamenti, dall’altro è fondamentale farlo in piena sicurezza», commenta la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO).
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Ripartono le speranze di avere un figlio
«La nostra priorità era dare una risposta a tutte quelle coppie che avevano intrapreso un percorso di fecondazione assistita o che erano in procinto di farlo», spiega Nicola Colacurci, Coordinatore del GISS della SIGO. «Donne e uomini che negli ultimi due mesi si sono sentiti abbandonati e hanno vissuto con grande sofferenza l’ansia del tempo che scorre (oltre il 30% delle partner femminili che accede alla PMA ha più di 40 anni) e il timore di perdere definitivamente le proprie chance riproduttive», conclude l’esperto.
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Il protocollo per ripartire in sicurezza nella Fase 2
Per una ripartenza che soddisfi i requisiti di sicurezza per le coppie che inizieranno o proseguiranno i trattamenti di fecondazione assistita, ma anche per medici, infermieri e operatori sanitari, la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) in collaborazione con il suo gruppo di interesse speciale (GISS) in Medicina della Riproduzione, ha creato un Protocollo al quale il Centro Nazionale Trapianti e l’Istituto Superiore di Sanità raccomandano di attenersi per riorganizzare le procedure di PMA durante la Fase 2.
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Che cosa dice il Protocollo
Il protocollo messo a punto dalla SIGO contiene le indicazioni per la riorganizzazione in sicurezza degli spazi e delle attività, a partire dall’accoglienza dei pazienti alla visita e all’esecuzione della procedura.
· Per quanto riguarda le indicazioni per il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, prevede tre triage successivi che costituiscono dei check-point di verifica dello stato di salute delle coppie e degli operatori sanitari durante il percorso della PMA.
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· Il primo triage viene effettuato in teleconsulto per ridurre il numero di accessi ai Centri: nel caso in cui uno dei due partner abbia sintomi lievi o aspecifici, è prevista l’effettuazione dei test sierologici per il dosaggio degli anticorpi IgG e IgM.
· Se invece uno dei due partner manifesta sintomi Covid, il protocollo dispone che il prelievo ovocitario o il transfer di embrioni congelati vengano rimandati.
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Un’attenzione in più per le coppie
«C’è un aspetto di estrema rilevanza in chiave strategica di contenimento del virus durante la Fase 2: le coppie in cerca di prole sono tutte in età lavorativa e quindi potenzialmente più esposte al rischio di contagio. Pertanto, utilizzando l’andamento epidemiologico in tempo reale (tre triage successivi) delle coppie che si sottopongono a PMA, le Istituzioni sanitarie regionali potrebbero disporre di un campione selettivo dell’andamento epidemiologico dell’intera popolazione regionale», spiega Colacurci.
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La situazione in Italia: i dati
«Nel 2017, anno a cui si riferisce l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità, le coppie che hanno ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita sono state 78.366. Le gravidanze ottenute invece sono più di 18 mila» spiega la ginecologa Claudia Livi. «Ben il 3% dei bambini nati nello stesso anno (458.151) è stato concepito con un ciclo di procreazione medicalmente assistita».
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