Gabriele De Stefani per "La Stampa"
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Non è più il tempo della grande distribuzione che si mangia i piccoli negozi di vicinato. Il digitale, la flessione dei consumi, l'onda lunga della pandemia, l'inflazione.
Fenomeni di lungo e di breve periodo vanno tutti nella direzione di una trasformazione radicale sintetizzata nelle parole con cui martedì Carrefour ha annunciato un piano da quasi 800 esuberi e 106 chiusure: «Il complessivo calo del fatturato e dei clienti e l'incidenza del costo del lavoro hanno determinato una situazione di grave squilibrio che ormai non è più sostenibile e costringe la società ad un intervento strutturale».
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I numeri
In sette anni in Italia si sono persi più di 53 mila esercizi commerciali, scesi poco sopra quota 890 mila. Le chiusure, come recita il report "Scenario economico e dinamica dei consumi" elaborato da Federdistribuzione, colpiscono tutti: grandi (-7 mila) e piccoli punti vendita (-40 mila), alimentari (da 256 a 249 mila) e non (da 689 a 642 mila).
Ma per la grande distribuzione, le percentuali sono più significative: 42 ipermercati in meno significano più del 10% di strutture chiuse, dopo la grande corsa degli anni Novanta e dei primi anni Duemila.
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I nuovi consumi
Incide soprattutto l'evoluzione dei comportamenti di consumo, che impone alla grande distribuzione di ripensare un modello che non regge più.
C'è l'esplosione del digitale, ovviamente: le catene faticano ad essere competitive nell'e-commerce e soprattutto a evolvere verso l'omnicanalità, cioè la capacità di integrare i canali di vendita digitale e fisica, dando al consumatore esperienze oltre che acquisti, servizi oltre che prodotti. Acquisto online dopo aver provato e toccato con mano nel negozio o viceversa.
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«L'affinamento della capacità di appagare gli aspetti emozionali o esperienziali dell'acquisto è una via inevitabile in un'ottica di differenziazione» scrive l'area studi di Mediobanca nell'Osservatorio sulla grande distribuzione.
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L'evoluzione del comportamento dei consumatori è ora accelerata dagli strascichi della pandemia: da un lato la maggior propensione al risparmio in tempi di incertezza (scesa al 12,9% a settembre, ma ancora ben più alta del pre-Covid), dall'altra la riduzione del potere di acquisto per la fiammata dell'inflazione che terrà i prezzi alti ancora per diversi mesi (Confesercenti stima un calo degli acquisti di 9,5 miliardi in due anni) e l'abitudine a frequentare meno i luoghi affollati come i centri commerciali in favore del ritorno al negozio di vicinato, più rassicurante dal punto di vista sanitario.
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I conti e le risposte
Tutte dinamiche con cui la grande distribuzione deve fare i conti, senza però dimenticare che in gran parte esistevano già prima della pandemia. Ad esempio nel 2019 si prevedeva per l'Italia un'espansione media dei ricavi all'1,7% fino al 2023, ben al di sotto, ad esempio, di Regno Unito (2,8%) o Germania (2,9%).
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E i margini si contraevano: indice di redditività sceso di un sesto dal 5,9 del 2015 al 4,9% del 2019, Ebit dal 2,5 al 2,1%. Nel nostro Paese gli operatori scontano una forte pressione competitiva e dimensioni ridotte, che li indeboliscono nella catena degli approvvigionamenti: i cinque principali retailer insieme valgono il 57% del mercato, in Francia il 78%, in Gran Bretagna e Germania il 75%. Ecco perché la soluzione del consolidamento, inaugurata da Conad con l'acquisizione di Auchan, promette di non rimanere isolata.
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