Flavia Amabile per "La Stampa"
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È una Napoli lacerata quella che affronta l'ultimo giorno prima della chiusura. Calarsi nel suo ventre, nella parte bassa della città, significa vedere in faccia la rabbia che monta. Non è la rabbia a comando della protesta di venti giorni fa, è un sentimento più profondo. Sale dagli eterni bassi dove l'assembramento è una condizione naturale e si diffonde nei vicoli attraversati da bande di giovani in sella ai motorini e mesti abitanti della zona.
A Chiaia e sopra i quartieri alti del Vomero, invece, la risposta alla chiusura è una baldoria senza freni di chi ha soldi e la necessità di cancellare quello che sta per accadere. Migliaia di persone sono scese in piazza per l'ultima passeggiata senza autocertificazione, l'ultimo caffè, l'ultima birra al baretto. Un lungo serpente di lamiere e traffico molto simile alle folle del periodo natalizio ha accompagnato le ore che restavano alla perdita della libertà. Giuseppe Varriale ha 65 anni, l'età giusta per andare in pensione, invece ogni mattina con la moglie va ad aprire il banco di verdura al mercato della Pignasecca, il più antico di Napoli.
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La sua rabbia è un fiume che non ha più sponde. «Le violenze di piazza? Sono giuste. "Chi grida, gran dolore ha", diciamo noi a Napoli. E questo dolore noi lo stiamo sentendo da mesi, mo' lo devono sentire anche gli altri, devono capire che la gente è stanca, che si rischiano violenze». Varriale mostra i prezzi della sua frutta, le arance a 80 centesimi al chilo, altrimenti nessuno avrebbe i soldi per comprarle o il pesce del banco accanto al suo a due euro al chilo.
«E pure a questi prezzi non basterà - continua - Mi aspetto che vengano a saccheggiare il banco. E, se lo fanno, sono pronto a dargli le chiavi perché hanno ragione. Io fatico da 55 anni e andrò in pensione con 4-500 euro al mese, ma che schifo è questo? In questi mesi ho perso l'80% di quello che guadagnavo e poi vogliono che paghiamo le tasse, e come si fa? Oggi mi ha chiamato il proprietario di un bar, mi ha detto vieni a prenderti le arance che mi hai dato, nessuno viene da me a chiedere spremute e da domani chiudo. Questa è la nostra vita, il governo deve sapere che mo' deve prendere una valanga di soldi e ce la deve buttare addosso se vuole che ci stiamo di nuovo zitti».
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Oltre la Pignasecca si attraversa Toledo con i negozi frequentati tempo fa dalla classe media, e oggi che la classe media non esiste più, desolatamente vuoti. Maurizio Manna è titolare di Shoes Lab, un negozio di calzature: «Avrebbero dovuto chiuderci due settimane fa, hanno rinviato per accontentare quelli che hanno protestato ma è stato inutile. I contagi sono aumentati e la nuova chiusura colpisce soprattutto noi piccoli commercianti di abbigliamento. Bar e pasticcerie possono fare asporto, noi no. Librerie e cartolerie resteranno aperte e noi no.
A marzo abbiamo già usato gran parte dei risparmi che avevamo, ora utilizzeremo quello che ci resta. Poi non so». Non è quello che sostengono bar, pasticcerie e librerie in questa Napoli lacerata dove solo la rabbia ha mille colori e tutti sono contro tutti. Gino Ariosto ha 44 anni, lavora come cameriere al Gran Caffè di piazza Dante. «Asporto? Ma chi volete che prenda un caffè da bere fuori se non chi vive in zona. E chi vive in zona alla fine il caffè se lo prepara a casa.
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Non conviene tenere aperto un bar che costa 100 euro al giorno senza contare le spese del personale. Finirà che chiuderemo. Se sarò in difficoltà andrò a rubare nei supermercati». L'asporto è una beffa anche per Carmine Mauro, pizzaiolo. In questi giorni ha creato un enorme presepe con la pasta della pizza e l'ha sistemato davanti al negozio. Tra le case dei pastori ha sistemato anche il laboratorio dove effettuano i tamponi. «Per sorridere un po'- spiega - ma la realtà è dura. Da domani chi verrà più a prendere una pizza se le persone non possono uscire?
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Già non abbiamo più turisti, questa chiusura è la fine. E non capisco perché poi le tabaccherie e le ricevitorie del lotto possono rimanere aperte e perché i parlamentari che volevano ridursi lo stipendio non l'abbiano ancora fatto». E anche i librai sanno che rimanere aperti servirà a poco. Nunzio Pacifico, libraio a Port' Alba: «Saracinesche alzate e negozi vuoti, andrà così da lunedì. Questo è e, no, non vado in piazza a protestare, devo tenere il negozio aperto. Solo chi lavora in nero può permetterselo e alla fine saranno quelli che continueranno a lavorare più di tutti "
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