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    LA VENEZIA DEI GIUSTI - BENEDICT CUMBERBACTH, MASCHIO ALFA CHE PASSA LE SUE GIORNATE A TAGLIARE I TESTICOLI A 1500 POVERI VITELLI E ALTERNA I RUDI MODI DA UOMO DEL WEST A UNA LAUREA IN LETTERATURA CLASSICA A YALE, È UNA MERAVIGLIA NELL'ATTESISSIMO “THE POWER OF THE DOG”, MELO WESTERN CON SCIVOLAMENTO GAIO DI GRANDISSIMA MESSA IN SCENA VISIVA E ATTORIALE  - NELLA VITA DI OGNI GRANDE REGISTA, DISSE ORSON WELLES, C’È UN WESTERN. ANCHE PER JANE CAMPION. GRANDE REGISTA, È VERO, MA FORSE LIMITATA QUI DA UNA SORTA DI VENDETTA IDEOLOGICA CONTRO OGNI POTERE MASCHILE. E CANINO - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    jane campion, benedict cumberbatch, kirsten dunst a venezia jane campion, benedict cumberbatch, kirsten dunst a venezia

    Venezia. Iniziano i giochi. Chi non avrebbe voluto passare la notte tra i monti con Bronco Henry a mangiare fegato d’alce abbrustolito…

     

    Devo dire che Benedict Cumberbacth come il complesso Phil, maschio alfa che ancora sogna Bronco Henry, che passa le sue giornate a tagliare i testicoli a 1500 poveri vitelli, che alterna i rudi modi da uomo del west a una laurea in letteratura classica a Yale, è una meraviglia in questo attesissimo “The Power of the Dog”, melo western con scivolamento gaio di grandissima messa in scena visiva e attoriale, tratto da un romanzo del 1967 di Thomas Savage, primo film originale Netflix neozelandese, ambientato in un Montana anni ’20 che presumo sia Nuova Zelanda.

     

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    Attorno al contraddittorio personaggio di Phil Burbank, allevatore che non si lava e dorme con i pantaloni di pelle di bufalo, che risente un po’ del vecchio modello sirkiano del Robert Stack dell’indimenticabile “Come le foglie al vento”, ruotano tutti gli altri personaggi.

     

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    Il fratello buono e cicciottello George Boy, Jesse Plemens, costantemente ridicolizzato da Phil, che cerca di vivere in maniera civile la sua vita nel ranch, sua moglie appena sposata Rose, una sofferente Kirsten Dunst, vedova di un medico suicida, già pianista nelle sale cinematografiche, suo figlio Peter, il Kodi Smit-McPhee già ragazzino prodigio di “The Road”, qui in un ruolo di sissy preso di mira dalla comunità dei maschi.

     

    jane campion jane campion

    Tutto ruota attorno alla sessualità e alle contraddizioni di Phil, che alterna citazioni latine e francesi, parla di “amour” e conserva gelosamente la sella di Bronco Henry, e questo porterà Rose a dedicarsi alla bottiglia, George a scomparire, fino a quando qualcosa scatterà tra Peter e Phil. Film difficile, sontuoso ma un po’ lento nella costruzione narrativa, ci sono dei veri e propri capitoli che dettano il ritmo e ognuno di loro ha un finale quasi da film muto.

     

    Nella vita di ogni grande regista, disse Orson Welles a Giulio Questi, c’è un western. Anche per Jane Campion. Grande regista, è vero, ma forse limitata qui da una sorta di vendetta ideologica contro ogni potere maschile. E canino. Bello comunque, con musiche memorabili di Johnny Greenwood e fotografia di grade fascino di Ari Wegner che cerca di inventarsi un nuovo modello per il western. E Benedict Cumberbacth meraviglioso in un ruolo difficilissimo. Irriconoscibile, ahimé, Keith Carradine nel ruolo del Governatore Edwards.

     

     

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