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Marco Giusti per Dagospia
Il primo film italiano in concorso, “Campo di battaglia” di Gianni Amelio, presentato oggi a Venezia, si apre su una grande scena di trincea, con un soldato che gira attorno a una massa indistinta di morti, compressi l'uno sull’altro, rubacchiando a uno un pezzo di pane a un altro il portafoglio. Fino a quando la mano di un vivo esce fuori dal mucchio.
E' un'immagine forte che lancia un film civile, composto, serio e assolutamente nobile. E nobile è anche la lunga lista di film italiani dedicati alla Grande Guerra, e tutti apertamente critici e velati di una nostalgia per una guerra vinta, ma estremamente dolorosa e piena di morti, dal picaresco “La Grande Guerra” di Mario Monicelli al duro “Uomini contro” di Francesco Rosi, fino a arrivare a “Torneranno i prati” di Ermanno Olmi, che ha molti punti di contatto con il film di Amelio.
Perché ci riporta un grido di pace e di fratellanza che oggi ha un particolare significato. Stavolta però il campo di battaglia non è quello dove si spara, si uccide e si muore, ma quello dell'ospedale militare, dove si lotta tra la vita e la morte una volta feriti e portati lì in mano ai medici e alle infermiere.
I due ufficiali medici che curano i feriti, spesso soldati che si sono autoinflitti ferite per tornare a casa e evitare di tornare in trincea, Giulio e Stefano, Gabriel Montesi e Alessandro Borghi, sono amici, amano la stessa donna, l’infermiera Anna, Federica Rosellini, ma non la pensano proprio allo stesso modo né sulla guerra né su come gestire i soldati malati. Giulio vorrebbe durezza, al punto da colpire con la pena di morte, in quanto disertori, i soldati che vogliono tornare a casa. Stefano invece, segretamente, li aiuta per rimandarli a casa.
Ovvio che tra i due militari la situazione si complicherà quando risulterà chiara la posizione di Stefano. Come se non bastasse scoppia, sia sul fronte che nelle città, la febbre spagnola, che farà molti più morti della guerra, ma dalle trincee partirà. Amelio inserisce lo scoppio della spagnola un po’ come se fosse il Covid 19, che oggi ci appare, incredibilmente, così lontano. Nessuno sembra occuparsene seriamente.
Ma il film si chiude su un’altra massa di soldati morti dati alle fiamme che ci riporta in pieno nella brutalità della guerra. Borghi, Montesi e Rosellini, ma anche i giovani attori che fanno i soldati nelle tante lingue del paese sembrano tutti molto attenti a costruire personaggi credibili di un mondo così lontano.
Anche se nella seconda parte il film perde un po’ della sua forza iniziale, “Campo di battaglia” si inserisce con rispetto e serietà tra le opere maggiori dedicate dai nostri registi alla Grande Guerra e ai tanti, tra soldati e civili, che in quegli anni morirono. Tutti noi più vecchi ricordiamo fratellini e sorelline dei nostri genitori che la Spagnola si portò via. Il film esce il 5 settembre in sala.
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