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Marco Giusti per Dagospia
Preparatevi. Perché stavolta Luc Besson è tornato al cinema di genere di gran classe e bene ha fatto Alberto Barbera a volere il suo “Dogman” in concorso. E preparatevi a salutare la prima prova da grande protagonista di un attore ancora poco noto, Caleb Landry Jones, che si costruisce un personaggio di canaro-joker-queer star assolutamente magistrale che si candida da subito al premio per il miglior attore.
A parte il titolo e l’amore per i cani, e infatti Matteo Garrone è ringraziato, non c’entra proprio nulla il canaro del “Dogman” italiano, magari c’entra poco anche il “Joker” di Joaquin Phoenix, anche se anche qui siamo al cospetto di una favola dark con vendette e per tutto il film seguiamo la reazione di un ragazzo maltratto dalla società e dalla famiglia, che si costruisce un suo mondo particolare con delle regole precise e una sua morale. Nel lungo racconto della sua vita che il dogman, l’uomo dei cani, il Doug di Caleb Landry Jones, fa alla psichiatra Evelyn di Jojo T. Gibbs, bravissima, viene fuori una orrenda storia americana di infanzia di abusi e maltrattamenti.
Il padre e il fratello di Doug sono due mostri cattolici e fascisti che affamano i cani per farli combattere. Doug si oppone come può e finisce rinchiuso anche lui come una bestia nel canile, mentre la mamma, l’unica che lo amava, decide di andarsene per sempre. E’ il padre, dopo aver scoperto che Doug nasconde dei cuccioli nel canile, che sparandogli una fucilata lo spedisce per sempre in una carrozzella privandolo dell’uso delle gambe. Quel che segue è la costruzione di un personaggio che nel mondo non può che nascondersi, anche il diventare una queer da spettacolino del venerdì notte è una scelta non di gender, ma di mascheramento sociale, e trova conforto solo nell’amore che i cani hanno per lui.
Grandi attori nel cinema, mentre hanno dovuto cedere la scena ai gatti nel mondo dei social, i cani di Doug sono una vera banda di ladri acrobati alla “Gang dei doberman” (ve lo ricordate?). Compiono qualsiasi prodezza e Doug riesce a parlare con loro e a mandarli persino a rubare i gioielli della divina Marisa Berenson. Negli spettacoli del locale dove si esibisce, Doug diventa di volta in volta Edith Piaf, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, le grandi stelle amate dalla mamma.
Favola nera assolutamente non scombinata e cafona come altri film di Luc Besson, recupera il lato del regista più interessante, quello di “Léon” per intenderci, dove la solitudine di un personaggio marginale esplode d’amore per chi cerca di avere con lui un rapporto sincero. Sì. Mi è piaciuto. E farà piangere anche i fan dei cani come Dago. E è piaciuto anche ai molti spettatori della visione per i critici che gli hanno dedicato l’applauso più sentito di questi primi due giorni di proiezioni. In sala andrà benissimo.
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