Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
GIAN ANTONIO STELLA
Evviva. Ieri mattina, quaranta anni dopo la decisione di puntare sulle dighe mobili, le paratie del Mose si sono infine sollevate. E tra il sollievo di sostenitori e scettici hanno lasciato Venezia all’asciutto.
Prima di buttar via gli stivali ascellari, però, è meglio aspettare... Guai se qualcuno desse l’incubo per finito. E lo stesso sindaco neo-rieletto della città serenissima Luigi Brugnaro, che pure è di natura turbo-ottimista, accompagnava ieri all’esultanza («Siamo riusciti per la prima volta al mondo ad avere una barriera sottomarina che si alza e ferma il mare») la raccomandazione a non pensar di aver risolto ogni problema: «Prima il Mose va finito, poi c’è anche San Marco e altri luoghi bassi che hanno bisogno di lavori di rialzamento delle rive».
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Un lavoro lungo. Ieri, però, è andata bene davvero. Alla città più bella e delicata che, dopo mesi di sofferenza, non è stata allagata dalla prima acqua alta autunnale, evento che avrebbe riacceso polemiche roventi sui tempi biblici dell’opera, bacchettati dallo stesso Patriarca Francesco Moraglia («È una giornata di speranza, di attesa, con qualche riflessione anche sul fatto che questo risultato poteva essere ottenuto anche in tempi molto più brevi») e all’Italia intera.
luigi brugnaro e il mose in azione
Che dopo aver retto all’urto del primo tsunami occidentale del Covid-19 e aver fatto un figurone per efficienza, generosità, talento architettonico e artistico sul nuovo ponte di Genova ha ora la possibilità di rispondere coi fatti alle irritanti ironie di troppi sopracciò stranieri. Il nostro è un Paese che, nei momenti critici, è spesso capace di dare il meglio. Semmai è proprio questo, il problema.
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Una formidabile cultura dell’emergenza (su certe cose siamo davvero i più bravi) sciaguratamente abbinata all’incapacità di reggere la sfida quotidiana della buona manutenzione. Che ci condanna ad esultare per la ricostruzione di un magnifico ponte mentre decenni di errori nella gestione della rete di torrenti, ruscelli e fiumi fanno crollare altri ponti, come è accaduto ieri, in altre parti del territorio. Ed è sempre così. Sempre.
L’opera
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Dopo decenni di sonnolenza, lentezze, tangenti, commesse distribuite agli amici e agli amici degli amici fino all’esplosione dello scandalo del 2014, siamo sicuri che la costruzione del Mose sarebbe stata così accelerata se la disastrosa Aqua Granda del 12 novembre dell’anno scorso, con la marea salita a 187 centimetri sul cosiddetto «Zero mareografico» non avesse suonato campane a martello in tutto il mondo lanciando l’allarme su quanto domani (non un giorno lontano: domani o dopodomani o la settimana prossima) potrebbe accadere a Venezia?
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Certo, ieri è andata bene. Ma certe esultanze spropositate e in parte dettate dalla propaganda e dall’invito a fare «più grandi opere» (tema spinosissimo dati i troppi precedenti di grandi cantieri tenuti aperti per decenni con decine di perizie di variante e astronomici rincari) devono tenere conto di alcune cose importanti.
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Come il fatto che ieri il traffico di navi che quotidianamente solcano la laguna era inesistente. O che le previsioni in base alle quali ieri mattina era stato deciso di alzare le 78 paratoie parlavano di venti a 65 chilometri l’ora e di onde al largo alte 7 metri, contro i 33 chilometri l’ora (con raffiche a 41: molto meno di certe punte a 144 come ai primi d’ottobre del 2012) che sarebbero stati registrati a mezzogiorno e alle onde di un metro e 40 centimetri registrate alla torre del Cnr, 8 miglia da Chioggia.
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A farla corta: prima di dare per sicuro che il Mose funzioni perfettamente occorrerà aspettare, purtroppo, giornate più estreme. E magari l’automazione piena del «motore». Cioè della «Control room» che governerà le paratoie ma non è pronta (ancora sei mesi, pare) ed è stata sostituita anche ieri dai ponti radio del Genio militare.
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E sempre lì torniamo. Vedere quelle dighe mobili gialle sollevate e le persone che camminavano all’asciutto con le scarpe da ginnastica a Piazza San Marco ha fatto tirare un sospiro di sollievo.
E così leggere della felicità di Carlo Alberto Tesserin, Primo Procuratore di San Marco: «La Basilica è asciutta, asciutta. È la prima volta ed è un dato importantissimo. A 90 centimetri di marea avremmo dovuto affrontare l’acqua che arriva dalla piazza, ma non è arrivata».
il mose funziona
La cautela però è d’obbligo. Tanto più che la manutenzione sarà costosissima e alcune paratie, come mostra una foto pubblicata ieri da un ambientalista veneziano, sono già oggi in condizioni pessime. E che occorra prudenza non ce lo ricorda solo la furia dell’Aqua Granda del 12 novembre 2019.
Ma le previsioni degli scienziati, riassunte nel libro «Venezia e l’Acqua Alta», edito da Maredicarta, da quel Giampietro Zucchetta che ha appena ripreso e aggiornato, con dati nuovi, uno studio documentatissimo di quasi trent’anni fa. Dove si legge ad esempio che le «acque alte» sono passate da 30 in tutto l’‘800 a 164 nel ‘900 con un’accelerazione da paura in questo secolo: 146 fino al 2019. Con 3 scenari fino al 2100 elaborati su dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change.
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Nel peggiore ci sarebbe «un aumento del 430% delle maree considerate nello studio e conseguente enorme incremento della frequenza della necessità di interventi di chiusura del Mose». Il Lago di Venezia: una catastrofe per il porto, i cittadini, la laguna, l’ambiente. Un tema da affrontare non a fine secolo: ora.
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Certo che una cosa piccola ma utile si potrebbe fare in tempi brevi, scrive Zucchetta: spiegare a chi non è veneziano cosa sia il «misterioso “Zero mareografico” risalente addirittura alla fine dell’Ottocento e che se ne sta più o meno a un metro più sotto della quota della pavimentazione della città». L’uovo di Colombo, dice, sarebbe «semplicemente quello di cambiare il livello di riferimento delle misure di marea» riferendosi senza malintesi «a un “Livello medio” dei “masegni” della pavimentazione di Venezia».
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E si eviterebbe finalmente di spingere tanti turisti, spaventati da maree relativamente «normali» e da ieri arginabili dal Mose, ad annullare un viaggio con una motivazione un po’ surreale: «Com’è San Marco? Mia figlia non sa nuotare».
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