Michele Anselmi per “il Secolo XIX”
carlo verdone giurato a venezia
«La verità nuda e cruda? La malavita per fare business deve entrare nelle strutture politiche, stringere alleanze, muoversi nelle stanze del potere, sennò resta piccola delinquenza di quartiere». Carlo Verdone segue con agra partecipazione le notizie sul Cupolone infettato dalla Cupola che arrivano dai siti dei giornali e dai servizi dei tg.
«Ho sentito che il procuratore Giuseppe Pignatone ha voluto intitolare “Mafia Capitale” l’operazione. Che devo dire? Mi verrebbe da usare le sue parole: “A Roma la mafia esiste, dimostra originalità e originarietà”. Anche se forse è una mafia strana, locale, circoscritta, tutta concentrata sugli affari da fare in città».
L’attore e regista non ha voglia di scherzare alle 20 di sera. «Mi sento inquieto, sento che aumenta in me la diffidenza. Mi rifiuto di credere che Gianni Alemanno sia stato un sindaco mafioso. Non voglio gettare la croce addosso a nessuno prima di sapere, ma di sicuro abbiamo avuto politici non all’altezza, specie a destra, spregiudicati nell’intrattenere legami sotterranei con la criminalità organizzata».
MASSIMO CARMINATI
Il pensiero corre a una scena di “La grande bellezza”, quando viene arrestato a sorpresa quel misterioso signore che è andato ad abitare sopra la terrazza di Jep Gambardella con vista sul Colosseo. Discreto, elegante, laconico, mai un eccesso, a parte le facce torve dei suoi gorilla. «Sono persone come me che mandano avanti l’Italia» teorizza il criminale, incarnato dal produttore Claudio Vecchio, mentre lo portano via in manette. E per un attimo la Bellezza stinge nella Monnezza.
ALEMANNO SI FA UN SELFIE COL TRICOLORE
«Non saprei dire se profetica, di certo una sequenza azzeccata» riflette Verdone. Subito dopo, sul filo dei ricordi, rievoca quella volta che Enrico De Pedis, detto “Renatino”, il boss incontrastato della Banda della Magliana freddato a pistolettate nel 1990, si fece vivo con lui. «Ma non sospettavo mica chi fosse» precisa.
Ecco come andò. «Allora abitavo in via del Pellegrino. Un giorno un antiquario che conoscevo mi dice che un signore vorrebbe degli autografi. Scendo e trovo ad aspettarmi un tizio gentile, compito, ben vestito, pensavo fosse un architetto che girava per robivecchi. Tira fuori la locandina di “Troppo forte” e mi chiede con modi cortesi di firmarla per sua figlia».
E poi… «Poi ne tira fuori altre e mi fa l’elenco. Del tipo: questo ar Saraga, questo ar Mandrillo, questo ar Palletta, ar Negro, eccetera. Era tutto “ar”». A quel punto si sarà come minimo insospettito… «Un po’. Ma sembrava comunque un gran signore. Vai a pensare che qualche mese dopo l’avrebbero ucciso sotto casa mia. Quel giorno ho scoperto che De Pedis era l’uomo degli autografi. Impeccabile a vederlo, come il mafioso elegantone di Sorrentino».
marco giallini in una scena del nel quarto episodio di romanzo criminale la serie
Tornando agli arresti di ieri, Verdone parla di «diffidenza e paura», teme «un vuoto di potere, un’infezione trasversale». Azzarda: «È finita l’etica, la cultura chiude e si aprono, con soldi sospetti, solo bar e ristoranti, non c’è più il gusto per il bello».
romanzo criminale2
Poi la stoccata inattesa: «Ogni romano sa bene che queste cose ci sono sempre state, non sono finite con la Banda della Magliana, che ha avuto tante diramazioni. Ma forse non andava mitizzata al cinema e in tv. Buoni film, per carità. Però s’è finito con l’esaltare quel mondo criminale, ci sono ragazzini che giocano a fare il Dandy, il Freddo, il Libanese. Passa tutto in cavalleria, ci si dimentica che quei balordi hanno ucciso, torturato, impaurito una città intera».