Simona Lorenzetti per il "Corriere della Sera"
violenza sessuale
«Non grida, non urla, non piange. Risponde alle chiamate di servizio mentre lui la aggredisce, senza insospettire, anche solo involontariamente, il centralinista».
Era l' aprile del 2017 quando il Tribunale di Torino descrisse con queste parole l' inattendibilità di una giovane volontaria della Croce Rossa, assolvendo il suo superiore dall' accusa di violenza sessuale. A distanza di quattro anni, la Cassazione ha ordinato un nuovo processo contro l' uomo. Nel mezzo, una sentenza d' appello che pur confermando l' assoluzione dell' imputato per un cavillo tecnico-giuridico, riabilita la vittima giudicandola attendibile.
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Una vicenda complessa, che a lungo è stata al centro di polemiche e discussioni. Gli episodi in contestazione risalgono ai mesi a cavallo tra il 2010 e il 2011. All' epoca l' imputato, che aveva 41 anni, era coordinatore dei volontari della Croce Rossa: un incarico puramente simbolico, ma che lo poneva in una posizione gerarchicamente superiore rispetto agli operatori. L' uomo, infatti, organizzava i turni e decideva dove le squadre avrebbero svolto il servizio. In questo contesto, secondo l' accusa, si sarebbero consumati gli episodi di violenza sessuale nei confronti di una volontaria di 32 anni. La donna (assistita dall' avvocato Virginia Iorio) avrebbe subito gli abusi del coordinatore e in aula, durante il dibattimento di primo grado, aveva sostenuto che lui l' aveva obbligata «come pegno per poter continuare a lavorare» ed evitare turni in posti meno spiacevoli rispetto agli ospedali, come ad esempio il «Centro identificazione ed espulsione» degli immigrati.
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Il pm Marco Sanini al termine dell' istruttoria dibattimentale aveva chiesto una condanna a dieci anni. Il Tribunale, invece, decise per l' assoluzione: «Il fatto non sussiste». Nelle motivazioni, il giudice definiva «inverosimile» il racconto della vittima: la donna non aveva «tradito quella emotività che pur avrebbe dovuto suscitare in lei la violazione della sua persona». Inoltre, la donna - scriveva ancora il giudice - non «riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo». In sostanza, si era limitata a dire «basta» e questo non era stato giudicato sufficiente, tanto che venne disposto l' invio degli atti in Procura perché la donna venisse indagata per calunnia.
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In appello, però, i giudici hanno riscritto la vicenda. La volontaria è stata nuovamente ascoltata. E per l' ennesima volta ha ripetuto ogni dettaglio di quei mesi e la Corte l' ha ritenuta pienamente credibile. Nella sentenza i giudici hanno evidenziato che le violenze sono avvenute, tuttavia hanno di nuovo assolto l' imputato (difeso dagli avvocati Vittorio Rossini e Cosimo Maggiore). A salvarlo un cavillo tecnico: una valutazione di «non procedibilità» a fronte di una querela tardiva da parte della donna. Il sostituto procuratore generale Elena Daloiso ha presentato ricorso in Cassazione, sottolineando il rapporto «gerarchico» tra il coordinatore e la vittima: elemento che rende il reato di violenza sessuale perseguibile d' ufficio. Gli Ermellini hanno accolto il ricorso e ordinato un nuovo processo d' appello di fronte a una nuova Corte.
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