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David Sim per “International Business Times”
Il tatuaggio facciale un tempo era considerato segno di bellezza tra le donne berbere della regione algerina di Shawia. La pratica oggi non è vista di buon occhio dalla popolazione a maggioranza sunnita, in quanto è proibito alterare le creazioni di Allah.
La fotografa della Reuters Zohra Bensemra ha incontrato dieci anziane berbere tra i 68 e i 106 anni, ha chiesto loro di raccontare le origini dei tatuaggi e come li vivono attualmente. Alcune hanno detto che si pentono di averli fatti e, per fare ammenda, hanno regalato i gioielli di argento a donne più povere. Dice Aisha: «Ho dato via tutto, piangendo. Ogni lacrima ha lavato via un po’ dei miei tatuaggi».
Una donna ha invece risposto che i tatuaggi le hanno portato fortuna, le hanno permesso di avere figli e un buon matrimonio. Aisha Djelal, 73 anni, è stata tatuata quando ne aveva 25. Voleva essere più attraente delle ragazze della sua età usando la body art, una decisione di cui si è pentita più tardi. Molta gente pensa che abbia commesso peccato contro l’Islam.
«Era la regola», spiega Fatma Tarnouni, 106 anni «Andava di moda. Per essere belle dovevi essere tatuata, così l’ho fatto». Fatma Badredine, 94 anni, fu tatuata a 13 anni da una nomade del Sahara: «Ho sopportato dolori lancinanti solo per apparire carina. In seguito volevo rimuovere i tatuaggi ma il dottore mi disse che la mia età non lo permetteva». Mazouza Bouglada, 86 anni, fu tatuata all’età di 7 anni da una nomade del Sahara e su consiglio di sua madre: più tatuaggi aveva, più poteva mettersi in mostra. Anche se ricorda bene il dolore, si sentì bellissima e fiera delle stelle incise sulle guance. Ora ha dato via tutti i suoi beni per i peccati commessi.
Djena Benzahra, 74 anni, fu costretta a tatuarsi a 9 anni. Fu sua madre a farlo e a volerlo, ma ora la religione le impone di pentirsi. Stessa cosa per Fatma Haddad, 80 anni: «Mi tatuai a 18 anni, tutte le ragazze della comunità lo facevano e di certo non pensavano di commettere peccato». Djemaa Daoudi, 90 anni, fu costretta da suo marito a tatuarsi il viso. Aveva 15 anni ed era già sposata: «Non fu una mia scelta ma chiedo lo stesso perdono a Dio. Ho ceduto tutto quello che consideravo prezioso, la mia roba di lana e i miei gioielli di argento, come elemosina».
Fatma Benyadir, 75 anni, si tatuò a 12: «Lo feci senza dirlo ai miei genitori, per essere come le mie coetanee. Ho regalato il mio argento dopo averlo strofinato sui tatuaggi». Il caso di Khamsaa Hougali, 68 anni, è diverso: «La mia matrigna mi consiglio di tatuarmi per avere più fortuna, dopo la perdita dei miei primi tre figli. Era inaccettabile, per una moglie, non procreare. Crediateci o meno, dopo che mia cugina mi tatuò, ebbi sei figli, tutti ancora vivi. Non me ne pento. Ho seguito la tradizione dei miei antenati per un buon proposito e ho salvato il mio matrimonio».
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Khadra Kabssi, 74 anni, si tatuò a 21 anni per celebrare l’indipendenza dalla Francia: «Non me ne pento e non credo che verrò punita dopo la morte, come qui dicono fedeli ed amici. Se il serpente mi vorrà mangiare, come mi promettono, è libero di farlo. Tanto sarò morta e non sentirò niente».
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