Riccardo Iacona per Repubblica.it
violenza a chicago
Gli omicidi causati da sparatorie sono ormai così tanti che c’è chi ne ha fatto un mestiere. Incontro Pauley Lapointe a mezzanotte davanti alla sua casa di produzione, a Chicago Downtown. Pauley è un giornalista videomaker e qui lo chiamano l’avvoltoio.
Il suo lavoro è riprendere tutte le sparatorie che avvengono dopo il tramonto: «Noi siamo gli unici che coprono gli omicidi di notte» mi dice mentre mi mostra come ha attrezzato il suo SUV per fare questo speciale lavoro.
Dietro ci sono le casse che rimandano le voci di sei radio sintonizzate sulle frequenze della polizia, ma il cuore di tutto il sistema è un computer portatile fissato al cruscotto con un braccio pieghevole: «Ho progettato un software che mi segnala immediatamente sulla mappa in che posto c’è stata una sparatoria e quanto dista da dove mi trovo.
morti a chicago
Tra radio e computer posso sapere in tempo reale tutto quello che succede nella notte a Chicago. Si parte!». Pauley Lapointe fa tutto da solo: guida la macchina, quando arriva sulla scena del crimine tira fuori la telecamera e gira, poi si ferma sul bordo della strada e con il computer monta le sequenze che verranno acquistate e mandate in onda dalle principali televisioni di Chicago nelle news del giorno dopo.
Sono rimasto con lui fino alle sei del mattino: abbiamo attraversato quattro scene del crimine e abbiamo contato tre morti e dieci feriti, di cui due in gravi condizioni. E ho capito che a Pauley l’avvoltoio il lavoro non mancherà mai. A Chicago ogni poco più di due ore una persona viene colpita da un’arma da fuoco, e ogni dodici qualcuno rimane ucciso. Fanno più morti le armi di Chicago che le guerre.
morti a chicago
In 15 anni, tra il 2001 e il 2016, le vittime di omicidio sono state 7.916, mille in più dei soldati americani morti in Iraq e Afghanistan. Nei quartieri più colpiti dall’epidemia di violenza si vive barricati in casa.
«Qui in strada ti vendono un AK47 per 75 dollari, una pistola automatica Glock per 25» dice Ameena Matthews, mentre ci porta con la sua Land Rover a tutta velocità per le strade di Englewood, la seconda zona più pericolosa di Chicago dopo Austin, un quartiere devastato dalla violenza armata che ha lasciato sul terreno centinaia di vittime, soprattutto tra i giovani.
CHICAGO VIOLENTA
«Qui ci si ammazza per strada anche per un piccolo litigio. Ma questo succede perché i ragazzini hanno in mano armi di distruzione di massa, fucili mitragliatori che possono sparare da 89 a 150 proiettili in una raffica sola!».
Ameena è molto conosciuta in tutta la città: è la figlia di Jeff Fort, dopo Al Capone il più grande gangster nella storia di Chicago, che oggi sta scontando una condanna a 155 anni di prigione. Ameena ha passato la sua giovinezza a spacciare e a organizzare rapine a mano armata: si racconta che la utilizzassero come palo perché guidava «meglio di un uomo».
CHICAGO 2
A giudicare dalla velocità con cui brucia incroci e semafori rossi non sembra aver perso la sua abilità. Oggi Ameena ha cambiato radicalmente vita, ed è diventata un’attivista sociale che combatte contro la proliferazione delle armi nella sua comunità: «Sono stanca di vedere le mie sorelle e i miei fratelli morire tutti i giorni perché si sparano tra di loro».
Mi porta a vedere un monumento contro la violenza armata che è stato costruito da una associazione del quartiere. Hanno realizzato una parete fatta di mattoni grezzi, su cui hanno inciso i nomi delle persone morte in conflitti a fuoco. Sotto è segnata l’età: sono davanti a 450 mattoni dedicati a quindicenni, sedicenni, diciannovenni, il più grande aveva 22 anni.
CHICAGO
Tra i tanti nomi ci sono anche quelli dei bambini colpiti per sbaglio o da proiettili vaganti. Le strade di Englewood sono deserte. A ogni angolo ci sono gruppi di giovanissimi di vedetta. La guerra tra bande armate va avanti tutti i giorni, colpo su colpo, omicidio dopo omicidio.
Si spara molto di notte ma anche di giorno. In mezzo alla gente che esce dai supermercati o dai centri commerciali. Si spara davanti alle scuole. «Noi dobbiamo difendere i bambini dai colpi di arma da fuoco!»: Rosalind Moore è la responsabile del servizio Safe Passage, istituito dal Comune di Chicago dopo che decine di bambini erano stati feriti o uccisi da proiettili vaganti all’uscita di scuola.
chicago dall alto
Rosalind mi ha dato appuntamento davanti alla Bass Elementary School di Englewood, alle 4 del pomeriggio, quando centinaia di bambine e bambini escono per tornare a casa. Mi mostra una mappa con la scuola al centro e le strade tutte attorno: «A metterla a punto è stata la polizia di Chicago, che conosce i punti caldi del quartiere, quelli più pericolosi per i bambini. Ed è lungo queste strade che abbiamo i nostri uomini».
Sono cinque, sparsi fino a due chilometri di raggio dalla scuola, e si riconoscono perché portano la pettorina con la scritta “Safe Passage” e hanno in mano una radiotrasmittente collegata con il distretto di polizia. Al primo movimento sospetto o accenno di violenza hanno l’ordine di avvertire subito gli agenti. È tutta gente del quartiere, pagata dal Comune.
«E questo è un bene» mi dice Rosalind «perché conoscono tutti qui, sanno chi è pericoloso, chi appartiene a una gang o all’altra, e si rendono subito conto se c’è qualcosa di strano. Se c’è una situazione veramente pericolosa i bambini non li facciamo neanche uscire dalla scuola fino a quando non arriva la polizia».
chicago
Li osservo mentre si allontanano sotto lo sguardo degli uomini di Safe Passage, mentre attraversano una città dove persino le strade attorno alla loro scuola sono diventate trincee su cui passare il più velocemente possibile.
Se parli con loro, poi, non ce n’è uno che non abbia visto o sentito raccontare di sparatorie e omicidi, notizie che attraversano il quartiere con la velocità dei fulmini, arrivando fino ai più piccoli; e ancora di più quelli che direttamente o indirettamente conoscono le persone ferite o uccise nel Far West che è diventato Englewood.
Sono gli stessi racconti che fanno i bambini che ho avuto modo di incontrare in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo: la stessa consapevolezza di poter restare ucciso da un momento all’altro. Non c’è un posto veramente sicuro, neanche le pareti di cartongesso ti difendono dal vicino che ha deciso di scaricare il suo revolver contro la moglie, un proiettile può raggiungere la casa a fianco e uccidere sul colpo un neonato che dorme nella culla.
POLIZIA USA
È successo proprio qui a Englewood, una settimana prima che arrivassi. È inutile girarci attorno, Chicago è in guerra e le prime vittime sono i civili, anche i bambini. Al Comer Children’s Hospital, un enorme ospedale che serve la zona sud della città, hanno dovuto installare una nuova sala operatoria per cercare di salvare la vita ai bambini feriti da arma da fuoco, la stessa chirurgia di guerra che si pratica nell’ospedale di Emergency a Kabul, con l’aggravante che quasi sempre in un bambino i proiettili colpiscono molti organi contemporaneamente e provocano devastazioni difficilissime da curare.
POLIZIA USA
Mark Slidell è il primario di Chirurgia pediatrica, ed è diventato famoso l’anno scorso perché insieme alla sua équipe ha cercato di salvare la vita a una bambina di sei anni restando in sala operatoria per 22 ore consecutive: «Volevano uccidere il padre e invece hanno colpito la piccola.
Quando è arrivata qui era già in fin di vita e nonostante tutti i nostri sforzi non ce l’abbiamo fatta a salvarla». Slidell mi mostra le statistiche dell’anno scorso, numeri incredibili, che non ci saremmo mai aspettati nel primo paese del mondo: «Vede, secondo la media nazionale il 7 per cento delle operazioni sui bambini riguarda ferite da arma da fuoco.
POLIZIA USA
A Chicago la percentuale sale al 20». Ogni cinque bambini che vengono operati, uno è vittima di una sparatoria. «Funziona così: una volta se avevo una discussione magari lasciavo perdere» cerca di spiegarmi un giovane padre che incontro davanti al suo appartamento di Englewood mentre controlla la figlia che gioca nel cortile.
«Oggi se litigo con qualcuno devo per forza tirare fuori l’arma prima che la tiri fuori lui. Perché so che lui è armato e che mi può uccidere!». «Ma lei è armato?». «Sì, certo, qui tutti sono armati». Celinez Nunez è un’agente della ATF, l’agenzia federale che ha la missione di combattere il traffico illegale di armi.
ARMI USA
Ha preparato su un tavolo un piccolo campionario di armi da fuoco trovate sulle scene del crimine: fucili automatici, mitragliatori, pistole automatiche, quasi tutte regolarmente comprate nei negozi. «Poi vengono rivendute sul mercato nero: questo è il modo principale con cui si riforniscono di armi le gang e i criminali di Chicago e questo è un problema enorme per noi, perché qui ci sono milioni di armi legali».
Il diritto ad avere un’arma è talmente intoccabile negli Stati Uniti che il possesso illegale è considerato un reato bagatellare e non esiste neanche un database federale dei possessori di armi da fuoco. «Quando troviamo un’arma sulla scena del delitto per noi è pressoché impossibile ricostruire chi e quando l’ha comprata».
armi facili in Usa
Thomas Darth è lo sceriffo della contea, la più alta autorità di sicurezza. «Lei non riesce a immaginare quanto è frustrante per noi, perché ogni giorno vediamo la violenza che c’è nelle nostre comunità e non possiamo fare niente. La Nra, la lobby delle armi, è così forte che qualsiasi proposta per rendere più difficile l’acquisto viene regolarmente bocciata». Nei 15 giorni che sono rimasto a Chicago ci sono state 133 sparatorie.