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    INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE – VIAGGIO NEL QUARTIERE SYKHIV DI LEOPOLI, DOVE I RIFUGIATI DELL’EST DELL’UCRAINA VIVONO COME PESCI IN UN ACQUARIO: I BAMBINI SEGUONO LE LEZIONI DA REMOTO, GLI ADULTI NON LAVORANO E ASPETTANO ANNOIATI IL MOMENTO IN CUI POTRANNO TORNARE A CASA – UN SIMBOLO PLASTICO DELL’ENORME DIFFICOLTÀ DELL’UCRAINA DI MESCOLARE, E INTEGRARE, LE DUE ANIME (E LE DUE LINGUE) DEL POPOLO


     
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    Estratto dell’articolo di Micol Flammini per “il Foglio”

     

    i prefabbricati per i rifugiati a leopoli foto micol flammini 4 i prefabbricati per i rifugiati a leopoli foto micol flammini 4

    La vita in un prefabbricato bianco era pensata per durare non più di sei mesi. Il tempo giusto per guardarsi intorno, prendere decisioni, riorganizzarsi. Invece è diventata attesa, lunga, improduttiva, monotona.

     

    Quando la Polonia aveva deciso di donare a Leopoli delle casette per i rifugiati, lo aveva fatto come soluzione transitoria, per offrire alla città occidentale dell’Ucraina […] una sistemazione in più per chi fuggiva da dove la guerra russa distrugge con più violenza.

     

    Il quartiere Sykhiv è periferico, raggiungibile dal centro in tram e tra i palazzoni degli anni Ottanta spunta un quadrato bianco, preceduto da due bandiere che si fondono in un abbraccio: ucraina e polacca. Il progetto è di Varsavia, ma il mantenimento della struttura prevede uno sforzo economico congiunto con  Kyiv e con l’amministrazione cittadina di Leopoli.

     

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    Tra i prefabbricati ci sono panchine, fili per stendere i panni, chi si aggira tra una struttura e l’altra procede lentamente, con il ritmo di un pesce in un acquario. Proprio come un pesce, chi arriva all’estremità dell’isolato sembra percepire la presenza di un vetro, non va oltre, si volta, e torna indietro, proseguendo la passeggiata racchiusa tra gli estremi della cittadella per rifugiati: una bolla.

     

    […]  Il progetto iniziale prevedeva che le famiglie potessero rimanere sei mesi, invece chi arriva tende a rimanere a oltranza, intrappolato tra le luci fredde della struttura, gli incontri nelle cucine comuni che si svolgono pressoché in silenzio. […] Gli adulti non lavorano e i bambini proseguono le loro lezioni da remoto. Fisicamente sono a Leopoli, mentalmente ancora a Lysychansk, Zaporizhzhia, Kherson,  Melitopol, Donetsk. Lo stesso i loro genitori: “In pochi cercano lavoro, la difficoltà a integrarsi è una questione preoccupante”.

     

    MICOL FLAMMINI MICOL FLAMMINI

    […] “Sono convinti che torneranno presto, è trascorso un anno, ma continuano a esserne convinti. Quando chiedo: perché non mandate i vostri figli a scuola? Perché non cercate un appartamento? Un lavoro? Rispondono: tanto torneremo a casa”, spiega Viktor [il responsabile della struttura…]. Rimanendo sospesi credono di ricordare di più da dove vengono, il luogo del rifugio è diventato un’altra dimensione: un acquario dalle pareti bianche.

     

    In cucina, una signora imburra il pane, siede da sola, si presenta come Anna Nikolaevna, viene da Mariupol. […] “Dopo aver vissuto intere settimane rinchiusa in una cantina, questo posto mi sembra un lusso, perché dovrei cercare casa? A Mariupol eravamo in venti rintanati sotto terra, forse anche di più. Ce ne stavamo rinchiusi mentre sentivamo le bombe che cadevano da tutte le parti […]”, ripete. […] Anna è convinta che la vittoria arriverà presto, lì dentro ne sono convinti tutti, non cerca lavoro, aspetta.

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    Imburra il pane e si arrabbia: “Poi questa questione della lingua, il russo è la mia lingua insieme all’ucraino, perché dovrei abbandonarlo per colpa degli occupanti? Mi hanno bruciato la casa, probabilmente il gatto e vogliono sporcarmi pure la lingua. Piuttosto la smettesse lui di parlarla: quel muskali”, Anna usa un termine che si sente molto in questo quartiere in miniatura di casette bianche e viene usato in modo dispregiativo per indicare i “russacci”, e Vladimir Putin nello specifico.

     

    I rifugiati non vogliono un’altra vita, vogliono quella di prima e forse arriverà il momento che per Leopoli si presenterà un problema: potrebbe volerci ancora tempo prima della vittoria, come convincere questi cittadini a ricominciare a vivere, a lavorare, a fare, prima che diventino un peso.  […] I rifugiati rimangono sospesi, nuotano tra i ricordi, contano i giorni con un solo pensiero: tornare a casa. 

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