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    REGINA DI CURRY - L’INUSUALE AMICIZIA TRA LA SOVRANA VITTORIA E IL SUO GIOVANE SEGRETARIO INDIANO, TRA SCANDALI E PETTEGOLEZZI, NEL NUOVO FILM DI STEPHEN FREARS - JUDY DENCH NEI PANNI DELLA MONARCA CHE CERCO’ ADDIRITTURA DI IMPARARE L’URDU E DI FARSI INSEGNARE IL CORANO (AVVISATE LA BOLDRINI DI AGGIORNARSI) - TRAILER


     
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    Alberto Mattioli per la Stampa

     

    STEPHEN FREARS STEPHEN FREARS

    Gli inglesi, si sa: basta metterli con il sedere su un cavallo o i piedi su un palcoscenico (o davanti a una macchina da presa), e danno il meglio. L’inglesissimo Victoria & Abdul di Stephen Frears, ieri fuori concorso, risulta una delizia dall’inizio alla fine perché tutti, fino all’ultimo caratterista, recitano da padreterni.

     

    E la padreternessa naturalmente è Sua Immensità Judi Dench, per la seconda volta nei panni piccoli ma maestosi di Queen Victoria. Era già stata Vittoria vedova e in cerca di consolazione in La mia Regina. Stavolta, invece, si racconta la storia romanzata (molto romanzata) dell’amicizia fra l’Imperatrice delle Indie per grazia di Dio (e di Disraeli) e il suo segretario indiano. 

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    Siamo nel 1887. Vittoria regna da mezzo secolo, è ancora in lutto per la morte dell’amato Alberto, si annoia e si consola mangiando troppo e troppo in fretta, mentre il primogenito Bertie, futuro Edoardo VII, aspetta in compagnia del bel mondo che mamma passi all’altro. L’incontro con Abdul, prestante indiano inturbantato (l’attore si chiama Ali Fazal ed è bravissimo pure lui), venuto a dare una nota di esotismo alla celebrazione del Giubileo, segna l’inizio di una strana relazione fra l’amicizia, l’affetto, l’amore senile e quello materno. 

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    Scandalo e pettegolezzi fra gli eminenti vittoriani, specie quando Abdul, che è musulmano, fa venire dall’India la moglie e la suocera velatissime, e crisi costituzionale sfiorata quando la Regina vorrebbe pure nominarlo baronetto. Però fra una litigata con Bertie e un’arrabbiatura del marchese di Salisbury, primo ministro, Abdul resta accanto a Vittoria fino alla morte (di lei, ovviamente).

     

    E poi costumoni, grandi carrellate sulle residenze reali (Windsor, Balmoral in Scozia, Osborne House sull’isola di Wight), sceneggiatura pimpante con battute brillanti, splendidi banchetti, tè serviti benissimo, cavalli, cocchi, uniformi, pudding meravigliosamente tremolanti, perfino un po’ di commozione quando lei finalmente muore: non manca nulla. 

     

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    Difettucci? Dame Judi, per fortuna sua, non somiglia affatto a Vittoria, che era tracagnotta e con occhi sporgenti da rana, e Bertie era in realtà di vedute molto più larghe di come viene raffigurato: molto più larghe di sua madre, in effetti. Blasfemo, poi, il cameo di Puccini ricevuto durante una visita tipicamente British a Firenze, «so lovely»: all’inizio degli Anni 90 il sor Giacomo era un trentenne fichissimo, non certo quella caricatura di un tenore italiano imbellettato che si vede.

     

    film victoria&abdul film victoria&abdul

    Nella solita inutile conferenza stampa, Dame Judi ha poi spiegato come funziona il mestiere: «Ogni personaggio è difficile, ogni ruolo richiede concentrazione e un sacco di lavoro. Prima di iniziare, ho letto molto su Vittoria. Ho fatto i compiti a casa». Peccato non fosse presente nessun attore italiano, avrebbe potuto imparare un po’. L’attesa battuta sulle malefatte di Trump l’ha fatta invece Frears (e a questo punto bisognerebbe istituire un Leone speciale, magari di bronzo, per il primo che non ne parli). 

     

    ali fazal ali fazal

    In effetti, il messaggio del film è doverosamente ecumenico e buonista. Come se volesse farsi perdonare i misfatti del suo colonialismo, la Regina accoglie l’immigrato a braccia aperte, si interessa alla sua cultura, cerca di imparare l’urdu e si fa perfino insegnare il Corano.

     

    Insomma, si comporta esattamente al contrario della mentalità «vittoriana», tutta Bibbia, Kipling e fardello dell’uomo bianco. E tuttavia, sotto sotto, ben nascosta in qualche recesso profondo dell’anima britannica, diventata nel frattempo inconfessabile e infatti inconfessata, si avverte la nostalgia di quell’epoca d’oro, del British Raj, della valigia delle Indie, dell’Impero con tutte le sue meravigliose assurdità e i pingui profitti. Sconveniente quasi come i reali capricci per il favorito, ma c’è.  

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