VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Alberto Dandolo per Dagospia
Il vero evento nella Milano frociona nella settimana della moda è stato uno spettacolo teatrale scritto e recitato da Alessandra Mortelliti, nipote del mitologico Andrea Camellieri. E il "papà di Montalbano" non è solo il nonno dell'autrice ( e protagonista)...lui di questo spettacolo pulp firma anche la supervisione ai testi. Nella capitale "a-morale" nessuno poteva immaginare che proprio durante la fashion week a catalizzare le attenzioni del pubblico modaiolo fosse uno spettacolo che porta la firma del grande vecchio Camilleri.
E la sua svolta "pop-pulp" sembra essere stata apprezzatissima dal pubblico, solitamente frigido e spocchioso, della Milano che detta le tendenze. Lo show che si intitola "La vertigine del drago" si è tenuto ( sold-out tutte le sere!) al Teatro Sala Fontana, a due passi da Piazza Maciachini, quella dove si concentrano i mejo spacciatori arabi di Milano. Spazio di tendenza e molto radical chic dove le frocialore meneghine amano riunirsi ( e nei post spettacoli non disdegnano farsi due passi nella piazza antistante!).
Coprotagonista l'attore Michele Riondino ( ha recitato la parte del giovane Montalbano ed è stato protagonista in "Accaio"), un gran bel ragazzo pugliese che grazie al suo talento e alla sua "beltà " ha catalizzato le attenzioni della Milano "intelletual-porcina". Tutti i gay di sta città si sono mandati in queste sere centinaia di "whatzzapate" che incitavano e consigliavano la visione del "Drago-Riondino", che per tutto il tempo alterna a una striminzita cannottierina bianca la nudità dei suoi muscoli ben scolpiti e definiti ( un gran bel vedere!). Insomma un potente passaparola che ha decretato il successo senza precedenti di questa performance.
Già vincitore di un premio al Felstival di Spoleto, lo spettacolo della Mortelliti sta diventando un vero e proprio cult e alcune scene resteranno negli annali dei ricordi dei "fulminati" della città di Piasapia. Lo spettacolo racconta di un naziskin che, ferito dopo un assalto a un campo nomadi, prende in ostaggio Mariane, una zingara zoppa ed epilettica. In attesa di ordini dall'alto, i due si rinchiudono in un garage: in questo spazio angusto entrambi sono costretti a una convivenza forzata, che finirà per mostrarli più simili di quanto si possa immaginare.
Un testo a metà tra le mejo performance dei più trucidi centri sociali e la sceneggiatura "psicadelica" di "Belli e Dannati" di Gus Van Sant. Alcuni riferimenti anche a "legami" di Almodovar e alle Iene di Tarantino. A dimostrazione che quel "caposaldo" della nostra letteratura che è Camilleri non solo legge i tempi, interpretandoli, ma sa anche anticiparli. ( Ma non potevano chiamarlo come autore a Sanremo?) Memorabile la scena in cui il naziskin Riondino dietro uno schermo in cui si illumina solo la sua ombra si mette ad impastare una torta di marjuana con in sottofondo una canzone tedesca che dà gli ingredienti del "dolce chimico".
E memorabile la "frase tormentone" della piece: "ma che te sei pisciata sotto nartra volta?". Dal 25 febbraio al 5 marzo potrete gustarvi lo spettacolo a Roma, al Teatro Ambra della Garbatella.
2. "LA VERTIGINE DEL DRAGO"
Giuseppe Distefano per "il Sole 24 Ore"
Sensibile al mondo di figure marginali, Alessandra Mortelliti rivela ascendenze con Lars Norén nel fotografare una realtà violenta, nel denunciare un contesto giovanile xenofobo, nel tirare in ballo figure border line. Uno stato di cose, però, che a differenza del drammaturgo svedese, apre a lampi di speranza.
Li troviamo, in filigrana, in questo secondo testo della giovane scrittrice romana, "La vertigine del drago". Attenta osservatrice della società contemporanea, Mortelliti ha immaginato di chiudere in uno squallido garage due esseri umani agli antipodi per osservarne, in vitro, le reazioni.
Una miscela esplosiva che ha prodotto un testo interessante, ancora esile e quindi possibile di ulteriori indagini, ma rivelatore di una vena drammaturgica vivace. La vertigine del titolo fa riferimento a quella reale, fisica ed emotiva, della quale, in maniera diversa, soffrono i due protagonisti: Francesco, un iniziato naziskin, con un recente passato di marito e padre sbagliato; e Mariana, una zingara zoppa ed epilettica, con la passione dei film e medico mancato. Durante un'azione per dare fuoco ad un campo rom, il giovane rimane ferito dal colpo di una pistola sparato dall'anziano marito della ragazza, che, in seguito, scopriremo era destinato a lei.
Trascinandosela dietro come ostaggio, si rifugia nella sua angusta rimessa. Nell'attesa della telefonata dell'Ordine che deciderà cosa farne della ragazza, i due, costretti ad una convivenza forzata, scopriranno ferite esistenziali comuni: l'esclusione, la solitudine, la rabbia, il tradimento. Con un linguaggio crudo, verbalmente manesco, il ragazzo è l'emblema di un'emarginazione ribelle scandita dal culto di un nazismo strisciante come unico schermo alla propria inadeguatezza: un delirio nichilista, la negazione di ogni valore, che Nietzsche chiama "il più inquietante tra tutti gli ospiti. Eppure, nel finale affiorerà , quale ospite inaspettato, un barlume di pietà e comprensione suscitati, forse, dall'aiuto della rom che riesce ad estrarle il proiettile.
Scandito con la forza di un combattimento impari, soprattutto contro se stesso, "La vertigine del drago" trova in Michele Riondino, attore e regista dello spettacolo, con, in scena, la stessa brava autrice, una febbricitante recitazione che rende palpabile, in un crescendo d'urla, invettive, scurrilità e sproloqui, un'assenza di futuro in un tempo vuoto. Con una messinscena dal timbro visionario, assecondata da lampi d'ironia su certa enfasi nazionalista, Riondino, effigiato di vistosi tatuaggi, con look da stereotipo nazi, immagina un delirante sogno del protagonista dietro una finestra intento in gesti che sembrerebbero efferatezze sanguinolenti, ma in realtà finalizzati alla preparazione di una torta. A dirci un diverso e fragile animo che vive nella sua anima xenofoba, come già lo mostrava la sua prima apparizione con un palloncino in mano.
In questo ritratto di sociopatia giovanile egli rispecchia una fetta di società alla sbando, vittime spesso di modelli sbagliati, che trova nell'aggressione allo «straniero» la propria giustificazione, la chance altrimenti impossibile di coltivare senso di superiorità condito di «ideali». Nel segno di una pregnante attualità , "La vertigine del drago", affrontando temi di rilevanza sociale, diventa un atto di denuncia, un contributo alla riflessione su una cultura della tolleranza sempre più necessaria.
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