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Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
(Adnkronos) - Questa volta si puo' parlare legittimamente di 'evento' senza paura di abusare della parola: la 'Serata a Colono', unica opera teatrale scritta da Elsa Morante e mai finora rappresentata, a 45 anni dalla sua composizione, approda per la prima volta al teatro Argentina di Roma, dopo il debutto assoluto al Carignano di Torino la scorsa settimana. Nei panni del protagonista, un redivivo Edipo degli anni Sessanta in un manicomio del centro-sud, e' Carlo Cecchi che vanta un lungo sodalizio di impegno professionale e amicizia personale con la scrittrice romana scomparsa nel 1985. Lo spettacolo e' sottolineato dalle musiche composte da Nicola Piovani.
Il regista Mario Martone, che firma anche la scenografia, fa deambulare sia in scena che in platea un gruppo di malati di mente che, durante la rappresentazione, continuano a sovrapporsi alla recita con espressioni e litanie ripetute, colte dal pubblico quando e' sfiorato dagli stessi attori. Al centro della scena, una grande sala a rappresentare la corsia di un ospedale psichiatrico, legato a una barella, e' Edipo, che come il protagonista della tragedia greca di Sofocle, copre la sua cecita' autoprocurata con una benda insanguinata davanti agli occhi. In queste precarie condizioni fisiche, Cecchi e' chiamato a recitare il testo, reso ancor piu' arduo dai riferimenti letterari, filosofici e mitologici che la Morante intese inserirvi.
"Avevo deciso anni fa di mettere in scena la 'Serata a Colono', per poi rinunciarvi fermato dalle enormi difficolta' che presenta il testo", confessa l'attore. Ad affiancare Carlo Cecchi sono fra gli altri Antonia Truppo nel ruolo della figlia-Antigone e Angelica Ippolito in quello della suora-Ismene. Edipo e' qui un accattone, ex proprietario terriero di radici contadine, vedovo, affetto da mitomanie epiche, accompagnato e sorvegliato con devozione da una giovane figlia, che mescola ignoranza e ingenuita', dolcezza e apprensione. Il padre e' la reincarnazione evidente dell'Edipo greco, "cieco assurto a nostro contemporaneo - osserva Martone nelle note di regia - reduce da chilometri e chilometri di pellegrinaggio, senza pace, come da antica profezia".
Giorgio e Clio Napolitano
GIULIO NAPOLITANO
MARIO MARTONE
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