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Federico Ercole per Dagospia
Sono ore liete, quelle che trascorrono con Astrobot, momenti di gioco luminoso tuttavia mai troppo spensierato, perché in questo lucore c’è una vaga ombra di malinconia, una sottile tristezza che trascorre sotterranea, sepolta da tanta giuliva, esorbitante bellezza per riaffermarsi nella coscienza non appena si spegne la PlayStation 5 tornando nella realtà.
Perché nel suo splendore panoramico così fantasioso, nella pirotecnica varietà di possibilità ludiche, nella tenerezza umanissima degli occhi elettronici del robotico protagonista, nell’enciclopedico e appassionato autocitazionismo, Astrobot è sia una innodica dichiarazione d’amore per i giochi e i giocatori di PlayStation che una bellissima quanto struggente nenia sul loro passato.
Così Astrobot può essere l’alfa o l’omega della Sony dei videogiochi che possedeva una sua “differenza” (come quella invece mai perduta di Nintendo) entrata in crisi durante la criticabile epoca di Jim Ryan, un’identità anche squisitamente giapponese che si è dissolta con lentezza in una sempre più stringente occidentalizzazione delle loro opere, senza nulla togliere al valore immenso di studi americani come Naughty Dog, Santa Monica o Insomniac.
Tuttavia solo qualche tempo fa, insieme a colossi come The Last of Us o InFamous, gli estinti Japan Studios facevano uscire cose stupende più piccole, originali e addirittura sperimentali come Puppeteer, Gravity Rush, Rain o Tokyo Jungle.
Tra le ultime opere di Japan Studios ci fu nel 2018 un più che interessante esperimento per la VR di PlayStation 4 sviluppato da Asobo Team intitolato Astrobot Rescue Mission, il videogame che segna la nascita dell’esuberante robot bianco e nero dagli occhi blu, diventato poi assai più celebre come protagonista della tech-demo (in realtà un videogioco vero e proprio più di tanti altri considerati tali) contenuto nell’hardware di PlayStation 5 fin dal suo lancio. Ecco dunque dopo tanti anni il meritato trionfo del nuovo platform in tre dimensioni dedicato ad Astrobot (un successo che si spera sia anche commerciale) e dell’Asobi Team.
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Vagando per il cosmo a bordo di un’astronave a forma di PlayStation 5, i gaudenti Bot vengono attaccati da una creatura verdastra e gelatinosa che distrugge la console volante disperdendo componenti ed equipaggio per lo spazio. Così da un pianeta desertico parte l’avventura del piccolo Astrobot per recuperare i trecento Bot dispersi e ricostruire la PlayStation 5, volando da un pianeta all’altro sul controller Dual Sense, qui piccolo caccia stellare. Tutto il resto è gioco puro, esilarante e palpitante di innumerevoli possibilità, mai troppo complesso e neppure troppo facile in un equilibrio perfetto tra sfida e svago spensierato.
Ogni pianeta possiede una sua meravigliosa identità, esaltata da una grafica limpida e da una definizione che mette in risalto i dettagli più preziosi di panorami naturalistici o surreali come spiagge tropicali, metropoli ipercinetiche o capolavori di una panetteria aliena.
Attraversare questi mondi sottopone chi gioca, tra salti e levitazioni, a rimeditare sempre le opzioni di esplorazione e di lotta, tramite l’utilizzo di particolari strumenti o per le peculiarità uniche di ambientazioni boscose, aeree, minerali o liquide che sono inoltre colme di vita animale: pesci, volatili, insetti, mammiferi…
Risulta inevitabile cercare tutti i Bot smarriti, inevitabile per amore, perché in ogni mondo ce ne sono con le fattezze caricaturali dei personaggi della storia di PlayStation: da The Last of Us a God of War, da Metal Gear Solid a Ico, da Days Gone a Ape Escape. C’è persino Okami! Talvolta questi personaggi influenzano anche il mondo stesso, proponendo sfide e boss che rimandano ai loro videogiochi, come quando si deve scalare un colosso che emerge a sorpresa dalla sabbia nel ricordo delle imprese di Shadow of The Colossus, o si utilizza l’ascia norrena di Kratos.
SYMPHONIE FANTASTIQUE
Straordinario come nella tech-demo, ancora di più perché restato per lo più finora inespresso a questi livelli artistici di ritmica e musicalità, è il contrappunto tra i suoni provenienti dallo schermo con le vibrazioni e i rumori provenienti dal controller Dual Sense. Tra musiche, pulsazioni e sonorità si alimenta un panorama che non è solo sonoro ma tangibile, una tempesta di suggestioni sensoriali al quale sembra mancare solo l’olfatto.
Ticchettii, battiti, armonie, cigolii, squittii elettronici, melodie. Suoni liquidi, aerei, pietrosi, animali, metallici, vegetali. Astrobot è una sinfonia fantastica oltre che un videogioco. Astrobot è un gioco per tutti, sopratutto per i bambini e i ragazzi i cui genitori possessori di PlayStation hanno fatto perdere il senso del bello relegandoli sullo smartphone con Brawl Star o Among Us mentre loro si godono God of War (se va bene, perché è più facile che giochino a FIFA o a qualche sparatutto online).
Ma si tratta appunto di un videogame anche per “grandi” che vi troveranno tracce inestimabili di memorie ludiche e soprattutto la delizia della scoperta, la gioia del gioco ritrovato.
Insomma Astrobot è favoloso, una delle migliori esclusive PlayStation della sua storia e non solo della quinta; spassoso anche quando ci fa gocciolare inattesa dagli occhi una “furtiva lacrima”.
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