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Federico Ercole per Dagospia
Arriva su PlayStation 4/5 e su Switch, dove è magnifico, quel capolavoro western di tredici anni fa che è Red Dead Redemption. Un semplice “porting” dell’originale senza nessun restauro o miglioria ma ancora oggi straordinario e bellissimo. Finalmente potrà essere vissuto anche da chi allora era troppo giovane per esperire questa tragica epopea alla Sam Pekimpah sulla fine del West.
Red Dead Redemption è tornato come uno spettro durante quest’agosto videoludico che si estinguerà con un’esplosione insostenibile di giochi, una bomba a grappolo di cose grandi e piccole destinate alla grandezza, alla mediocrità o all’oblio, troppi, tutti insieme.
Il fantasma immutato di un capolavoro di tredici anni fa, accolto dalle polemiche sul suo prezzo più che dai ricordi della sua immutata grandezza; cinquanta euro, si dice, è troppo per un “porting” identico all’originale e forse è vero, anche se su Nintendo Switch quest’opera di Rockstar Games non era mai arrivata ed è risultato sconvolgente, strano e bellissimo riviverla in portabilità, l’immensità del West in pochi centimetri di schermo quasi come l’immensità di Hyrule nell’ultima Leggenda di Zelda.
Forse sono troppi, questi 50 euro, solo per chi l’ha già giocato all’epoca o possiede ancora la copia per XBox 360 che le nuove console di Microsoft sono in grado di gestire con immediatezza ed efficacia. Tuttavia diverso è, oltre che per Switch, il discorso per Sony, perché i dischi di PlayStation 3 non sono leggibili sulle PlayStation successive e persino le versioni digitali delle opere uscite per questa console possono essere giocate sulle nuove solo in streaming e non scaricate ed esperite offline.
Quindi Red Dead Redemption per PlayStation 4/5 e Switch è necessario, soprattutto per quel pubblico che all’epoca era troppo giovane per giocare questo straordinario western sulla fine del West. Inoltre il discorso sul prezzo di un’opera è sempre un poco triviale, anche se talvolta inevitabile.
In ogni caso se non avete mai giocato Red Dead Redemption perché eravate troppo piccoli o solo disinteressati e avete cambiato idea dopo il secondo episodio ma non siete mai riusciti a giocarlo, non abbiate indugi e lasciate perdere chi insulta Rockstar Games sui social tacciandola di avidità (e voi di irresponsabile connivenza) mentre il post dopo ammette di avere preordinato la special edition costosissima del prossimo sparatutto militaristico e propagandistico. Inoltre basta aspettare qualche mese e questo videogioco immenso sarà di sicuro in offerta, anche se è meglio spendere cinquanta euro oggi per un’opera d’arte di tredici anni che 80 per un Hogwarts Legacy.
L’EPICA AGONIA DEL WEST
Redivivo come uno spettro quindi, Red Dead Redemption, o come uno di quei morti viventi che c’è nella sua incredibile e difficilissima espansione horror Undead Nightmare. Lo spettro del West che ritorna in vita già durante i titoli di testa, che lo mostrano dapprima sepolto dalle nuove tecnologie: le prime automobili, i binari delle ferrovie ormai completati con il sangue di migliaia di lavoratori che connettono tutti gli Stati Uniti, “presto sarà possibile volare con una macchina” dice una donna sul treno. Siamo nel 1911, ma quando il protagonista John Marston giunge nella stazione di un paese del Texas ai confini con il Messico il West risorge, con il suo violento, magnifico splendore, le sue promesse di epica, avventura, melodramma.
Se avete giocato Red Dead Redemption 2, che racconta ciò che successe anni prima del primo episodio, riconoscerete Marston e qualcuno dei nomi a cui fa riferimento e sara doloroso, proverete una rabbia che ritenevate estinta, sopita nella memoria, una volontà di vendetta. Sta a chi gioca guardare il corpo sconfitto del western e dargli il colpo di grazia. Red Dead Redemption è anche l’epica, prolungata agonia del West, fino alla sua definitiva estinzione.
Poi si comincia a giocare, a cavalcare, a sparare, a giocare a poker mentre edificate la vostra epopea western fino alla sua immensa, drammatica conclusione. Poche sono le opere come questa e quest’anno l’unica paragonabile è Legend of Zelda Tears of The Kingdom, appunto uno dei più grandi videogame della storia dei giochi.
GIOCARE IN UN FILM DI SAM PEKIMPAH
Le ambientazioni di Red Dead Redemption, il suo tempo e le sue immagini, devono molto al cinema di Sam Pekimpah, più a quest’ultimo che a qualsiasi altro cinema western, sebbene vi siano altre tracce. Il Mucchio Selvaggio, La Ballata di Cable Hogue, Voglio la Testa di Garcia.
Disseminate in questo ancora selvaggio “mondo aperto” ci sono quasi infinite possibilità di fare cinema voi stessi, di essere registi del proprio western e provare se ha ragione il John Ford interpretato da David Lynch in The Fabelsman di Steven Spielberg: “se l’orizzonte sta in alto è interessante, se l’orizzonte sta in basso è interessante, se l’orizzonte sta in mezzo è una merda”.
Perdendosi e ritrovandosi in decine di attività secondarie, affascinanti anche quando solo di raccolta, come quella delle erbe, il gioco prosegue implacabile pure quando dissolto e dilatato da queste, inesorabile come una tragedia di Eschilo diffusa, sfuggente, dispersa nell’immensità dei panorami ma permanente, sempre, anche se ci inganna con la sua transitoria invisibilità.
Sebbene sia consigliato ad un pubblico di maggiorenni, Red Dead Redemption potrebbe essere amato e compreso anche dagli adolescenti perché la sua non è la violenza di un Grand Theft Auto 5 (il gioco più celebre di Rockstar Games) che purtroppo tanti ragazzini giocano comunque senza la cultura e la maturità per comprenderlo e decodificarlo, perché questo western interattivo è universale, classico e rivoluzionario, lirico, epico e straziante, appunto, come un capolavoro di Sam Pekimpah.
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